
Pescasub dei ricordi: una vittoria dal sapore un po’…
Oggi proverò a scrivere di una gara che risale probabilmente al giugno 1982. Il racconto di una gara di pescasub, di una vittoria; una vittoria po’ amara.
Prima di subito voglio però precisare che non si focalizzerà il racconto di una manifestazione internazionale di pesca sub con relative catture eccezionali, fatte magari nell’abisso.
Niente di tutto ciò! E’ semplicemente un racconto di una gara dal carattere squisitamente regionale, così come ogni anno tante ne venivano disputate nel panorama agonistico nazionale.
Una chiamata inaspettata
Con una garbata telefonata della sera prima, un atleta che oggi chiameremo Yuri (nome naturalmente di fantasia), mi chiede se sono disposto a fargli da secondo per una gara.
Accetto senza esitazione pur non avendolo frequentato molto. E’ stato un ottimo atleta e a vederlo gareggiare, anche se solo dal gommone, c’è veramente da imparare.
Yuri, seppur giovanissimo, aveva già deciso di ritirarsi dall’agonismo all’indomani degli assoluti di Cala Liberotto nel 1980. In quella gara, era rimasto molto amareggiato dal comportamento del suo secondo: pare avesse inspiegabilmente dimenticato durante le giornate di gara – pur avendoli individuati perfettamente nei giorni precedenti dedicati all’esplorazione – dei segnali che, sempre a suo dire, gli avrebbero consentito una classifica finale diversa.
Quel campo di gara
Ma ancor oggi, dopo tanti anni, non mi è ben chiaro perché avesse deciso di riprendere a gareggiare. Dopo un anno di totale inattività agonistica, proprio per questa sola gara e, quindi, senza alcuna velleità di qualificazione per gli assoluti.
La gara si svolgeva nelle impegnative acque di S.M. La Scala, frazione di Acireale (CT).
Va doverosamente ricordato che era il primo anno nel quale il regolamento prevedeva l’uso dei gommoni anche per le gare di qualificazione, al posto dei lenti gozzi a remi. In tal modo la macchina organizzativa risultava più fluida, permetteva di superare gli amabili ricatti della marineria locale nel fornire le imbarcazioni, puntualmente a prezzi da strozzinaggio.
Il campo di gara era così delimitato: limite nord la Garritta di S. Tecla, limite sud il faro di Capo Mulini, per un totale di almeno cinque/sei chilometri di mare. La costa, meglio nota come Timpa, è ancor oggi un luogo di rara bellezza: le pareti in alcuni punti cadono nell’acqua come lame di coltello.

La créme dell’agonismo
Sono presenti più di quaranta atleti, provenienti da ogni angolo della Sicilia e, neanche a dirlo, i bravissimi palermitani perché possono contare su alcune autentiche eccellenze nazionali. Fra costoro voglio ricordare il fuoriclasse Pippo Lo Baido, Antonio Aruta, l’astro nascente Nicola Riolo, Nico Giuffrida, Achille Aronica, e tanti altri ancora. Come ricorderete della scuola palermitana di pescasub abbiamo già parlato in precedenza vedi qui!).
E’ altresì presente la scuola siracusana al gran completo nonché quella messinese.
Preciso, ma solo per completezza espositiva, che l’anno precedente i sub palermitani in questa manifestazione avevano letteralmente sbancato la classifica, piazzandosi nei primi sei posti.
L’atleta locale più conosciuto è Giuseppe Gabriele, ottimo conoscitore della zona e forte atleta, ormai da anni sulla breccia.
E’ una giornata di cielo sereno, mare calmo ma con un leggero movimento ondoso di scirocco. L’acqua – e ciò si intuisce ancor prima dell’inizio della gara – è molto torbida. La durata della gara è di 4 ore e trenta (9:00 – 13:30), peso minimo gr. 300, cernie kg. 3, il tutto in ossequio al vigente regolamento federale.
Il “via”
Al via gli atleti schizzano come un fuoco d’artificio sparato in cielo, e si allargano a macchia di olio.
Alcuni si dirigono verso la Spinosa, noto promontorio morfologicamente molto caratteristico, posto a nord del porto di partenza: un tempo regno di cernie, corvine, saraghi e, quando presenti, anche di dotti e dentici. In questo posto si dirigono subito Nicola Riolo e Pippo Lo Baido, atleta molto stimato anche in campo nazionale.
Pippo, ottimo conoscitore di queste acque (vinse nel 1977 una edizione di questa gara) si fermerà gran parte della gara proprio in questo tratto di mare, pescando tra i 18 sino ai 25 metri, spingendosi sino all’Anticaglia, posta a nord della Spinosa. Durante tutta la gara pescherà molto profondo, il ragazzo ha tecnica ed eleganza da vendere, le sue discese sono autentiche lezioni di stile.
Anche il giovane Riolo pescherà nei pressi di Lo Baido ma, come il primo, non avrà molta fortuna: i loro carnieri a fine gara saranno assai modesti.
Alcuni rimangono invece nel basso fondo, nell’area antistante il golfetto di S.M. La Scala, alla ricerca di pesce bianco.
Proprio in queste acque nell’agosto del 1957 si svolse l’assoluto di pesca subacquea, vinto dal compianto Ennio Falco vedi a questo link). Falco, pescò diversi dotti ad oltre 20 metri con il suo torpedine (rispetto al cernia più indicato per i tiri lunghi in quanto corredato di un’asta in alluminio). Queste catture avvenivano proprio lungo la franata dello scoglio del Mulino, in una giornata di acqua fredda e torbida, proprio come oggi.

Altri si dirigono ancora verso la secca di S. Caterina, posta a circa 800 metri a sud del porticciolo anzidetto, con un cappello, nella parte sud della stessa, che arriva sino a 3 metri dalla superficie.
Da ultimo il più nutrito gruppo di gommoni mette la prua lungo le franate che portano sino all’estremità sud del Faro di Capo Mulini: fra questi anche Gabriele e gran parte degli atleti locali.
E’ forse il posto morfologicamente più bello per il sub, in quanto si alternano splendide franate che si poggiano sulla sabbia a pareti che cadono oltre i trenta metri. In questo tratto di mare i serranidi ed il pesce bianco non mancano, così come i pescatori di frodo (bombardieri).
Il campo di gara è sufficientemente esteso e variegato.
L’atleta che oggi accompagno, come da sua puntuale tradizione, si dirige verso la Secca di S. Caterina, nella zona più impegnativa, quella posta a nord. Li la batimetria va da un minimo di 15 metri sino a scendere anche oltre i 20/25 metri.
Yuri, superlativo conoscitore della zona, è marcato da diversi atleti che, sempre con i gommoni, lo tallonano sino a quando, pronto di tutto punto, spegne il motore e scivola in acqua. Gli altri atleti che lo seguono fanno la medesima cosa speranzosi che possa portarli in una zona buona.
Così come anticipato la visibilità dell’acqua è molto ridotta non ci saranno più di 4 metri, ed al fondo è ancora meno, complice la temperatura dell’acqua che è semplicemente gelata, il termoclino dopo i 5/6 metri è veramente molto marcato.
Già dal primo tuffo si ha la prima sorpresa: di buon mattino è stata calata da pescatori del luogo una rete lunga circa 300 metri, posta con grande maestria lungo la morfologia della secca, proprio nei punti più profondi ed interessanti della stessa.
Il pericolo di andarci addosso, per via della modesta visibilità, è oggettivamente concreto.
Il primo ad accorgersene è purtroppo Aruta che, per un non nulla, non ci va a finire dentro. Lo spavento del palermitano è ovviamente comprensibile, e sta tutto nell’espressione colorita che esterna al suo secondo appena venuto in superficie: “ci mancava anche la rete al fondo, caz…o, per poco non ci finivo dentro!”.
Il ragazzo è oggettivamente spaventato, nel giro di un minuto tutti gli atleti, con encomiabile solidarietà, si comunicano questo concreto pericolo.
Tuffi e… delusione
Yuri è pronto per iniziare a pescare ed io gli sto con il gommone a pochi metri. Muovo il gommone utilizzando i remi, il motore è rigorosamente spento così come mi ha chiesto di fare.
Ha già fatto due tuffi di ricognizione e conferma purtroppo quanto rilevato da Aruta.
Si iperventila con respiri profondi e lenti. Riesce bene a controllare l’emozione che si ha nei primi minuti di gara. E’ ancora giovane ma i suoi movimenti sono da consumato campione, stringe nella mano sinistra una piccola torcia mentre nella destra impugna un medisten ben pompato con arpione.
Con una capriola da manuale, lenta ma decisa, lo vedo scomparire sotto il pelo dell’acqua con le sue lunghe pinne Cressi sub.
Guardo con ansia l’orologio che tengo al polso, sono già passati 60 secondi e non c’è segnale di risalita. Il palloncino che indica la sua presenza è fermo, questo sta a significare che sta pescando in tana ed ispeziona, con grande meticolosità, ogni piccola fessura che incontra. Sotto dovrebbero esserci circa 20 metri d’acqua.
Guardo ancora l’orologio e segna 1:30 di apnea, ma di lui non c’è traccia, i due tuffi precedenti di riscaldamento erano stati di circa 1:15/1:20.
Quando le lancette si avvicinano ai due minuti, ed ho già il cuore in gola, comincio ad intravederlo, sta salendo con il suo stile lento e preciso. Eccolo! Sputa l’acqua dal boccaglio, il suo sguardo è lucido e sereno, mi tranquillizzo.
Guardo meglio e, schiacciato al petto, ha qualcosa, si ha un sarago e dev’essere anche grosso. Con molta circospezione lo depone nel gommone, lasciando a me il compito di svitare l’arpione e liberare lo sparide dall’asta. Sono contento per lui, saranno trascorsi non più di venti minuti di gara e già la prima preda è nel portapesci.
E’ grosso, stimo che debba essere oltre il chilo (alla bilancia peserà 1.320 gr).
Con un filo di voce, proprio perché non vuole farsi sentire dagli avversari che sono a poche decine di metri, mi dice che lo sparide era solo. Ha dovuto fare una lunga apnea in quanto nella tana profonda in cui si era addentrato, si era presentato di muso ed ha dovuto aspettare che il pesce si girasse per poterlo sparare a tiro teso di due passate.
Continua a fare tuffi su tuffi, sempre nella stessa zona della secca; alza continuamente la testa per verificare le mire e, quando si trova sulla verticale delle stesse, pochi atti respiratori e va giù; pesca rigorosamente in tana, cercando sempre di non finire anch’egli lungo la rete posta al fondo. Il suo stile è superbo, mai un movimento inutile, sempre misurato e razionale.
Eccolo, adesso è vicino ad Aruta, il longilineo palermitano lo anticipa e si immerge. Vedo che Yuri rimane sulla verticale dell’amico il quale, dopo una apnea di circa 1:40, risale imprecando: …”che peccato ho visto una bella cernia! Mi è sfilata al limite di tiro, e si è intanata in un grosso agglomerato di roccia a forma di panettone”.
Il mio amico, che da anni conosce molto bene quell’agglomerato di roccia lavica, lo invita a lasciar perdere. Quella roccia all’interno è totalmente cava e quindi il serranide avrà trovato riparo in qualche tortuoso anfratto. Aggiunge: … se avessi avuto la possibilità il serranide lo avresti dovuto sparare subito ed al volo, diversamente se si intana diventa imprendibile.
Antonio non crede a questa versione, anzi pensa che sia un maldestro suggerimento per allontanarlo… si pianterà sulla verticale della tana per più di due ore con un inconducente risultato.
Il consiglio era invece fondato e sincero ma il buon Antonio non lo ha recepito, ed in tal modo – in qualche modo – si auto penalizzerà.
Qui non gira nulla
Dopo circa due ore di gara Yuri risale in gommone. Avrà già fatto non meno di 25 tuffi sempre nella batimetria di 18/20 metri spingendosi anche a 24/25 metri. Ma il risultato è quello di non aver visto più nulla, non ha sentito neppure il tipico rumore delle corvine, pesci generalmente presenti in questo tratto di mare.
Avrà ispezionato almeno una trentina di tane abitualmente abitate da cernie e/o saraghi, tutte miseramente vuote.
Mi dice che pescare fondo oggi è controproducente, bisogna cambiare strategia di gara.
Tale povertà la addebita alla corrente da scirocco, troppo fredda, con un taglio che leva il fiato e, soprattutto, al tramaglio esistente al fondo.
Lo vedo perplesso, forse anche sconsolato.
A questo punto, pur non avendo mai maturato esperienze di secondo, cerco di dargli coraggio e gli faccio vedere il saragone che abbiamo nel cavetto portapesci, ma non è orgoglioso della cattura, con un filo di voce mi dice invece che vuol cambiare zona, a suo dire non conviene pescare ancora in tana specie su batimetrie impegnative.
Si cambia strategia
In tal modo senza indugio lasciamo il gruppetto di gommoni sulla secca e mi dice di accendere il motore e puntare verso nord, in direzione della Spinosa, vuole pescare a terra, nell’acqua bassa a pesce bianco, ritiene che con queste condizioni di mare si potrebbero incontrare i cefali. Scarta subito la zona sud (Capo Mulini), notoriamente più ricca, semplicemente perché già sono in tanti coloro che stanno pescando lì, e quasi tutti nel basso fondo.
In meno di cinque minuti siamo nel luogo prescelto, cambia la boa e si butta con un piccolo pallone segna sub che, al posto del classico sagolone, ha il mulinello Marò con circa 25 metri di nylon 130, più indicato per la pesca all’aspetto rispetto al classico sagolone.
Inserisce nella cintura 3 chili di piombo, adesso è molto zavorrato, impugna un supersten 100 senza mulinello con asta da 7 e tre passate di nylon, dallo sforzo che fa nel caricarlo intuisco che dev’essere ben pompato.
Sto molto attendo ad ogni tuffo che fa, sta pescando in un tratto di mare dove non ci sono avversari, cronometro le sue apnee, fatte dai 3/4 metri sino ai 10/12, e non scendono mai sotto i 2:45 con alcune puntate di 3:10.
Dopo almeno una quindicina di tuffi mi riferisce che non ha visto girare un solo pesce: di cefali, di salpe e saraghi, specie sempre presente, non vi è alcuna traccia, sembrano eclissati, neppure nell’acqua più bassa c’è vita.
Risale sul gommone, sono le 12:00 e manca solo 1:30 alla fine della gara, ha esclusivamente il sarago testè descritto, ma scorgo nei suoi occhi una luce nuova.
Intuizioni
Infatti, con un filo di voce, mi dice che mentre faceva l’aspetto al fondo, naturalmente senza vedere nulla, all’improvviso si è ricordato di una vecchia tana di cernie che in passato gli ha riservato catture importanti, ed è posta ad una profondità di circa 24 metri, è un pietrone sulla sabbia, isolato.
Mi invita a ritornare a S. Caterina in quanto prima non l’aveva visitata.
Passiamo con il gommone vicino a Lo Baido, il secondo ci dice che non ha preso nulla, e questo è tutto dire, i due atleti si salutano con un affettuoso gesto della mano, segno che si stimano reciprocamente.
Siamo arrivati, ha i segnali scolpiti nella mente. Alcuni gommoni lasciati prima sono ancora presenti, tra questi Aruta che, vincitore della precedente edizione proprio in questo tratto di mare, insiste molto nella ricerca – vana – di pesce.
Altri hanno invece preferito spostarsi, ripiegando nel basso fondo a cefali.
Lei c’è!
Scende in acqua, si iperventila, ha in mano la piccola torcia ed il medisten.
Risale dopo una modesta apnea, mi rassicura che ha visto la cernia ma è più piccola del peso abituale di circa 10 kg, questa sarà 5/6 chili al massimo, ed ha già pedagnato il sasso. Nessuno gli è vicino, anche perché siamo molto fuori.
E qui inizia la gara, un profano potrebbe dire: un capolavoro di tecnica, di intelligenza e di esperienza, con un pizzico di buona sorte.
Si iperventila, sempre con cura, e scende giù, dopo un’apnea di circa 1:45 riemerge e mi dice di averla sparata da un piccolo foro circolare il cui diametro è meno di 10 centimetri, oggi coperto da un riccio di mare.
Ma legittimamente mi chiedo come farà a tirar fuori una cernia da una apertura così piccola?
Gli è che questo pietrone, autentica tana mastra, ha un ingresso a gomito.
La cernia, che staziona abitualmente fuori tana, al minimo segno di pericolo (i “bombolari” in questa zona sono ancor oggi onnipresenti in dispregio di qualsiasi divieto) scompare subito rifugiandosi nella tana ed entrando dall’unico ingresso. Il sasso è completamente saldato, ed altre aperture non esistono.
Mi spiegherà dopo, con dovizia di particolari, che esiste un piccolo foro posto alla fine della tana, cioè nel lato opposto rispetto a dove era entrata, puntualmente coperto o da una stella marina o da un riccio. Oggi è toccato trovare un riccio cappuccio.
Orbene, rimuovendo l’echinoideo, il raggio della torcia permetterà di vedere subito l’occhio del serranide.
E’ però di palmare evidenza che mai e poi mai potrebbe uscire il pesce da questa apertura così piccola.
Ma il punto nodale è proprio qui.
La tecnica
Yuri spara proprio da questo piccolo foro con il medisten il pesce, cercando di colpirlo in un punto vitale. L’arpione non deve essere totalmente avvitato, diciamo solo a metà, e questo lo si spiegherà dopo.
Ridiscende con un ministen molto pompato, asta da nove e arpione senza alette, meglio noto come spaccaossa. Dopo 4 tuffi intentati a colpire il serranide nel cervello, avverte – toccando l’asta del medisten – che il pesce non offre più alcuna resistenza, è stato fulminato.
A questo punto con le punte delle dita si spinge l’asta, e quindi la cernia, verso l’ingresso al fine di far comparire la coda della preda verso l’apertura da cui è entrata.
Si scende ancora con un supersten montato con una fiocina a cinque punti in ferro ed asta da 9 mm, e si spara in direzione del troncone della coda, che è l’unica parte che compare; la fiocina arrivando proprio in questa regione si conficcherà superbamente nel troncone, offrirà quindi un’ottima presa, sicuramente meglio dell’arpione.
La scelta di questo tipo di pneumatico è dettata esclusivamente dalla convenienza di poter lavorare con un’asta lunga che non flette.
Siamo alla fine, inserendo la mano nel buchetto si dovrà cercare di svitare l’asta dall’arpione precedentemente avvitato solo in parte.
In tal modo svitando l’asta dal pesce questo non offrirà più alcuna resistenza e si poggerà sul fondo della tana il cui letto è sabbioso. Con uno strattone energico, aiutato eventualmente anche dal raffio, la cernia verrà via uscendo proprio da dove era entrata.
Questa è, in estrema sintesi, la tecnica della cattura collaudata in passato per cernie di una decina di chili.
Ma oggi ci sarà qualcosa di diverso, un imprevisto.
L’imprevisto dietro l’angolo
Intanto intorno a Yuri si è sparsa la voce della cernia incastrata, si è radunato un gruppetto di gommoni, c’è anche quello di Pippo Lo Baido e di Nicola Riolo che hanno abbandonato mestamente la Spinosa, finendo anzitempo la gara.
C’è pure Aruta che è rimasto sul luogo per tutta la durata della gara cercando invano quella cernia precedentemente descritta che, purtroppo, non riuscirà più a vedere. Il forte atleta palermitano, vincitore della precedente edizione, non sarà quest’oggi oggettivamente molto fortunato.
C’è anche il barcone della giuria, con la figura mitica dell’agonismo storico siciliano: Beniamino Leone.
Ma torniamo indietro, proprio da dove abbiamo lasciato.
Le lancette scorrono veloci, molto veloci. I tuffi si susseguono uno dopo l’altro, ma la coda della cernia non ne vuole sentire di comparire, seppur in piccola parte, dall’ingresso principale.
Ed intanto la corrente aumenta sempre più, il taglio di acqua fredda – complice la tensione e la stanchezza – ad ogni tuffo diventa sempre più insopportabile.
Mancano ormai solo 15 minuti alla fine della gara.
Ma perché Yuri non riesce a tirala fuori?
Presto detto, tra l’ingresso della tana ed il piccolo foro c’è una distanza di circa un metro e mezzo; orbene, essendo la cernia più piccola (quindi più corta) rispetto a quelle che abitualmente abitano questo scoglio, nonostante che venga spinta con l’asta verso l’ingresso il troncone della coda non compare e, quindi, non si può dare il colpo risolutivo dall’ingresso con il supersten.
A questo punto l’atleta in parola si inventa qualcosa di veramente geniale.
Mi chiede di passargli il lungo raffio di ferro dolce, lo piega ad elle.
Dopo breve ventilazione scende ancora sulla tana, inserisce delicatamente il raffio proprio nella piccola apertura circolare dove originariamente ha sparato.
L’attrezzo, nel caso in specie, avrà solo la funzione di spingere meglio la cernia già morta verso l’apertura principale, niente di più.
E’ fatta: dopo aver ancora una volta spinto la cernia verso l’ingresso, stavolta tramite il raffio, ecco apparire il troncone della coda dal lato opposto. Ritorna nuovamente in superficie, ma stavolta è fiducioso.
Mancano ormai otto minuti alla fine della gara ed inizia a scendere verso la direzione dell’apertura principale.
Davanti alla tana impugna il supersten, precedentemente lasciato al fondo, ed illumina bene, lascia partire il colpo in direzione del troncone.
Tiro perfettamente riuscito. Prova a tirare e … la cernia non esce!
Risale. E’ teso! Lo sconforto lo assale, a questo punto teme proprio di non riuscire più a catturarla entro le 13:30, termine ultimo della gara, le lancette scorrono velocissime. Ma perché la cernia, pur essendo morta, non esce fuori, si chiede disperato?
Raccoglie tutte le sue energie, fisiche e psichiche, mancano cinque minuti e va giù nuovamente. Cerca di stare calmo e concentrarsi solo sulla cattura, si affaccia all’ingresso della tana, prova a tirare e la cernia, ancora una volta, non viene fuori.
Capisce che ormai potrà fare ancora solo un ultimo tuffo, e poi la gara sarà definitivamente finita.
L’ultimo strappo
A questo punto, per autentica disperazione, puntella le pinne sulla roccia, afferra l’asta del supersten e tira con tutte le forze che ha, lo strattone è senza eguali e la cernia viene fuori come un tappo di bottiglia!
La risalita, rispetto allo sforzo profuso, sarà quasi uno scherzo.
Appena affiora con la preda ben stretta al corpo, un urlo di liberazione e di gioia sarà avvertito sino agli estremi del campo di gara!
La soddisfazione di essere riusciti a catturarla, anche se in zona Cesarini, è immensa, un lungo applauso dei presenti, atleti compresi, è il giusto premio per la volontà dimostrata, e questa è la più bella soddisfazione che un agonista possa mai ricevere.
Ed io gioisco per lui, lo ammetto: mi sento vincitore anch’io pur non avendo alcun merito.
La zampata del leone
A terra, con grande sportività, molti atleti si congratulano per la vittoria, fra questi il giovane Nicola Riolo. Il palermitano, battendogli una pacca sulla spalla, gli dice: “complimenti, questa è stata la zampata del leone”!

Al peso il serranide, unico della giornata, segnerà kg. 5,250 che, unitamente al sarago, permetterà di doppiare il secondo classificato. I carnieri risulteranno assai modesti composti prevalentemente da cefali e qualche sparuto sarago.
La scuola palermitana, composta da autentiche eccellenze, oggi non è riuscita ad esprimere al meglio le proprie potenzialità, complice la sfortuna di qualcuno e le condizioni di mare oggettivamente proibitive, ma – come sempre – è molto sportiva.
A fine gara Yuri mi farà notare che, pur avendo fatto vincere al proprio circolo di appartenenza – da solo – la classifica per società, nessuno dei suoi compagni riterrà opportuno esternargli le congratulazioni, diversamente da quanto hanno fatto, ed in modo assai sportivo e convincente, tanti altri atleti.
Poi rivolgendosi chiaramente a me, aggiunge con una punta di disappunto, se a Cala Liberotto avessi avuto te invece di quello “smemorato”….
Decisioni sofferte…
Al ritorno, in macchina, non è felice così come dovrebbe essere colui che ha vinto meritatamente una gara. Si vede invece che è molto amareggiato, mi dirà ancora, ma con un soffio di voce: …”nessun atleta della mia città si è congratulato con me, è un circolo che non mi vuole, ed io li accontenterò subito, tolgo il disturbo”.
Da quel giorno Yuri è completamente scomparso dai radar dell’agonismo italiano.
Con grande gioia di un “secondo molto smemorato” ….
Resterà in me un piacevole ricordo di una giornata di mare, di pesca ma dal sapore un po’ amaro.
Gigi Anastasi
