
Acque interne: le considerazioni del campione Franco Villani
Il lago è un ambiente stranissimo, buio e freddo prima di tutto. Il fondale è enigmatico e spesso indecifrabile. Ne abbiamo già scritto in precedenza qui. Per questo un’atleta d’eccezione ci racconta cos’è per lui la pesca nei laghi e il suo rapporto con essi. Bresciano ex prima categoria, ex atleta della nazionale e pluricampione italiano acque interne, si aggiudica l’ultimo titolo nel 2018 a Lugana di Sirmione. Chi meglio di Franco Villani (vedi canale Youtube) poteva esporci le differenze tra lago e mare da un punto di vista agonistico e non? Iniziamo!
In che modo e quando ti sei approcciato alla Pesca in Apnea nel Lago?
Rispetto alla maggior parte dei pescatori in apnea, che hanno iniziato catturando polpi al fianco del padre, il mio avvicinamento a questa passione è avvenuto in maniera decisamente differente! Abitando a Brescia i miei primi contatti con il mondo acquatico sono stati, a soli 5-6 anni, con il Lago di Garda. Qui seguendo la passione di mio padre, insidiavo con la canna dapprima piccole alborelle e successivamente i cavedani, pesci anche di mole considerevole, soprattutto per un bimbo di quell’età!
Col passare del tempo la curiosità di vedere come si comportavano questi diffidenti e smaliziati ciprinidi vicino all’esca mi ha spinto a mettere la maschera e osservarli con i miei occhi. Unendo poi questa passione della pesca di superficie con le esperienze che nel frattempo stavo facendo d’estate al mare sempre al fianco di mio padre, con una bombola da 5 litri sulla schiena, ho voluto provare ad usare un fucile e ovviamente ho dovuto mollare l’ARA dedicandomi esclusivamente all’apnea. L’istinto del pescatore poi ha fatto il resto.

Quando hai fatto “il salto” al mare e che difficoltà hai riscontrato rispetto alle acque dolci?
Sicuramente la mancanza di conoscenza dei fondali e soprattutto delle abitudini dei pesci metteva in difficoltà il mio istinto venatorio. La pazienza, l’umiltà e la capacità di osservazione mi hanno permesso nel tempo di colmare questo gap. In quegli anni ebbi anche la fortuna di poter studiare le prime videocassette del maestro Dapiran: a parer mio le migliori di sempre dal punto di vista didattico, Mettendone in pratica i consigli, iniziai ad avere grandi soddisfazioni anche nei primissimi metri. Tornando al lago poi, fu inevitabile notare la minor malizia dei pesci d’acqua dolce e la loro maggior indolenza, che rendevano l’azione di caccia molto più semplice.
Al contrario, che difficoltà ritieni ci siano al lago rispetto all’ambiente marino?
Indubbiamente le condizioni di visibilità mediamente più scarse rendono la ricerca del pesce molto più complicata. Talvolta è necessario modificare l’azione di caccia o addirittura la tecnica per la mancanza di visibilità. Senza contare che l’acqua più fredda, torbida e buia determina un calo di tranquillità e concentrazione a livello psicologico che si traduce in una drastica riduzione dei tempi di apnea.
Ricordo situazioni, anche dopo tanti anni, soprattutto nel lago d’Iseo e nel lago di Como, molto bui rispetto al Garda, nelle quali l’incontro inaspettato con un ramo affondato o un qualsiasi detrito a pochi centimetri dalla faccia, mi faceva letteralmente perdere il self-control, alla stregua della scena clou di un film horror d’autore!Infine, tecnicamente parlando, essendo l’acqua più leggera, da un lato si ha una risalita più difficoltosa ma ho sempre avuto la sensazione di una maggior fluidità nella pinneggiata, a favore di un minor dispendio energetico.

Quali sono gli analogismi e le differenze maggiori tra le tecniche di caccia al mare e al lago?
Bella domanda! Ci sarebbe davvero tanto da scrivere. Innanzitutto c’è da fare un distinguo tra le varie tecniche. Parlando di pesca all’agguato e all’aspetto, le mie preferite, le differenze sono molteplici. Quella fondamentale, come già accennato in precedenza, è la visibilità in acqua. Quindi, tranne casi particolari, sia in un senso che nell’altro, al lago si scende molto spesso alla cieca e non si può prevedere una strategia di caccia facendosi aiutare dall’istinto e dal fiuto stando in superficie. Per questo motivo il lago diventa un ottimo allenamento soprattutto a livello fisico.
Mi spiego: sulla mia pelle, mi sono reso conto che se non vedo il fondo e quindi non ho distrazioni esterne mi concentro molto di più sulla ventilazione e recupero molto meglio, di conseguenza tengo un ritmo decisamente maggiore che al mare, a parità di fondale. Se si opera a quote importanti bisogna però tener sempre presente le leggi sulla sicurezza fondamentali per ridurre il rischio di taravana! Si allena il fisico ma anche la mente, infatti dovendo iniziare l’azione di caccia già sul fondo è necessario avere la mente sgombra da qualunque aspettativa e spesso bisogna adattare la nostra tattica e tecnica a qualunque situazione ci si presenta davanti.
Pescando all’agguato è necessario adeguare la nostra velocità di spostamento alla visibilità, più l’acqua è torbida più bisogna rallentare, al punto che, a volte, diventa quasi più un aspetto dinamico. In questi frangenti bisogna essere veramente pronti col dito sul grilletto per non farsi sorprendere. A volte poi, al lago, è necessario inventarsi letteralmente la tecnica, come pescare a mezz’acqua in risalita in certi periodi dell’anno, tecnica che sottintende ottima acquaticità e una pesata perfetta.
…e la pesca in tana
Passando invece alla pesca in tana, trovo molte analogie. Possiamo equiparare la pesca in tana al mare con la pesca delle anguille nei “gruviera” sul fango o nelle spacche in parete. Ma anche in vere e proprie tane in franate e pietre dove si possono trovare tinche, persici, barbi, cavedani, bottatrici e purtroppo ultimamente anche siluri. Queste tecniche a parer mio, come al mare, perdonano molto di più gli errori tecnici e premiano il ritmo, rispetto alle tecniche al libero.
Altra analogia importante è che nella maggior parte dei casi, se i pesci hanno possibilità di scelta, prediligono tane appena al di sopra del termoclino, pertanto, onde evitare sprechi di energie e di tempo, la nostra azione di pesca dovrà concentrarsi in questi strati. Concludendo, credo di poter dire che mi trovo bene sia in acqua salata che in acqua dolce, anche se la vita marina è più affascinante e la varietà di prede ti lascia sempre la porta aperta a qualunque occasione di cattura. Questa suspense il lago purtroppo non la dà!

Parliamo di agonismo: hai vinto l’ultimo Campionato Italiano in Acque Interne. Il tuo quarto titolo. Ma sei stato anche agonista in prima categoria sfiorando un paio di volte il titolo assoluto e ricevendo la convocazione in nazionale. In che modo le gare al lago ti hanno aiutato in questo percorso? Trovi analogie con le gare in mare?
L’esperienza accumulata in tanti anni di agonismo in acque interne è stata sicuramente importante, ma il fattore fondamentale è stato poter gareggiare con i regolamenti che permettevano gli spostamenti in gommone. Avere l’opportunità di studiare una strategia a tavolino contando sul fatto di potersi spostare è stato di grande aiuto nei campionati maggiori al mare, dove invece chi proveniva dalle prove selettive si ritrovava a non avere idea di come sfruttare gli spostamenti. Non per niente il miglior stratega riconosciuto in Italia è proprio Nicola Riolo, che guarda caso è anche quello con il maggior numero di titoli assoluti, ben 6! L’ inevitabile introduzione poi, nei regolamenti sia marini che lacustri, del numero limite di capi per specie ha evidenziato ancora di più queste mie capacità tattiche, regalandomi sempre ottimi piazzamenti.

Raccontaci la tua cattura più bella o che ti ha lasciato di più al lago.
Ricordare qualche grande luccio preso in profondità nelle gelide acque invernali sarebbe banale.
Ti racconto invece di una cattura: da sola sarebbe stata insignificante, ma mise il sigillo al mio terzo titolo per società con l’Apnea Club Brescia nel 2006. Un gara che mi lasciò un ricordo indelebile per averla condivisa con i miei amici. I miei compagni di squadra erano Stefano Govi e Armando Abrami, il campo gara era sul lago d’Iseo, precisamente a Marone. Per impegni lavorativi nessuno di noi riuscì a preparare la competizione durante la settimana precedente: ci accontentammo di visitare il campo gara solamente il sabato, dividendoci le zone. Fino alla sera prima scherzavamo e ridevamo consapevoli che avevamo poche carte da giocare. Durante la notte però, qualcosa in noi cambiò, e ci ritrovammo la mattina più concentrati e determinati che mai! Scegliemmo di adottare una strategia rischiosa sui pochi segnali che avevamo.
Da subito capii che era la mia giornata, trovavo pesce ovunque ed ero carico. Dopo quasi 4 ore consecutive a ritmo indiavolato ero distrutto. I giochi sembravano fatti, eravamo subito davanti per numero di prede alla squadra del Sub Club Brescia. A quel punto decisi quindi di cedere il posto definitivamente a uno dei miei compagni. Dopo più di mezz’ora nessuno di loro mise a pagliolo un pesce, pertanto quel leggero vantaggio che avevamo poteva già essere svanito. Il buon Stefano si avvicinò al gommone e mi fece cenno di prepararmi nuovamente. Stefano mi guardò negli occhi e mi chiese: “Ciccio ce la fai a prendermi ancora un pesce?”, risposi “ci provo!”.
…la cattura della vittoria
Ultimi tuffi alla ricerca di qualcosa che nemmeno io sapevo, avevamo già raggiunto il limite di specie sulle tinche, sui persici e sui lucci. Mancavano 10 minuti alla fine e tentai il tutto per tutto lasciandomi cadere nel buio in parete alla ricerca di qualche anguilla nelle spacche. Risalii da oltre 20 metri con una bottatrice di oltre 1 kg e mezzo tra le mani, sapendo che quei 3500 punti avrebbero chiuso definitivamente i giochi. Potete immaginare Stefano quando gliela passai in gommone, conservo ancora il suo urlo nel cuore!

Per concludere: in seguito all’ultima finale in acque interne nel 2018 ci sono state varie critiche e polemiche, vuoi dire qualcosa in merito?
Credo proprio che la dirigenza Fipsas abbia perso un’occasione per evitare una brutta figura.
Non entro nelle polemiche degli pseudo ambientalisti da tastiera, praticamente sempre ignoranti nei confronti dei regolamenti della Pesca in Apnea, ma quello che è successo è davanti agli occhi di tutti ed è vergognoso nei confronti di un settore che si è sempre distinto per la selezione intrinseca dei prelievi. Non solo, ma come già evidenziato più volte, molto spesso anche dalla nostra categoria, gli ecosistemi, in primis quelli chiusi come i bacini lacustri non sono equilibrati. La natura fa il suo corso, e spesso è proprio solo la nostra “vergognosa e infame categoria” (cit.) ad accorgersi delle morie di qualche specie autoctona vedendo le decine di carcasse sul fondo.
Credo quindi che un’attività venatoria agonistica ben disciplinata, con ragioni anche su base scientifica ma non solo, e che garantisca il ripopolamento (tra l’altro già in atto) basato sui prelievi effettuati, possa essere solo d’aiuto per le acque interne.