
Euroafricano 1968 – Cabrera (Baleari)
Eccomi nuovamente a voi con i miei soliti racconti di gare e di campioni del passato.
Questo articolo sarà il primo di quattro amarcord che richiameranno, di volta in volta, gli Euroafricani del 1968, poi quelli del 1970 di Malj Losinj, ed ancora quelli dell’isola di Man nel 1972 ed infine Kilkee (Irlanda) 1974 che vide finalmente il trionfo di Scarpati dopo essere arrivato per tre volte secondo.
Prendendo a prestito l’articolo che comparve nel 1968 sulla rivista Mondo Sommerso, mese di ottobre n. 10 pagg. 1006 e seguenti, a firma dell’incommensurabile Renata Falangola, giornalista/scrittrice dal talento straordinario, aggiungerò aneddoti – di prima mano, cioè inediti – riferiti successivamente proprio da Scarpati e Santoro.
Orbene, detto ciò diamo inizio al racconto.
Siamo nell’anno 1968, all’inizio dell’anno la Federazione Spagnola Subacquea (FEDAS) aveva chiesto ed ottenuto dalla CMAS di poter organizzare l’Euroafricano 1968 nelle acque delle Baleari, e più segnatamente nell’isola di Cabrera, posta a sud di Maiorca a circa un’ora di navigazione, con un porto naturale che è tra i più belli del mediterraneo.
L’isola è circondata da un piccolo arcipelago di roccia calcarea composto da 19 fra isolotti e scogli affioranti, bagnata da un mare limpidissimo. Il colore dell’acqua – secondo la morfologia del fondale – assume la tonalità del turchese o del blu cobalto, la visibilità è mediamente sui 25 metri.
Il piccolo arcipelago, grazie alla morfologia del fondale, racchiude ancor oggi un eccezionale ecosistema marino che consente la proliferazione di numerose specie faunistiche marine.
L’isola, di straordinaria bellezza, si presenta al visitatore selvaggia con la tipica vegetazione mediterranea, e non contaminata da un inurbamento selvaggio come spesse volte si verifica nelle isole.
Cabrera ancor oggi è considerata una delle più belle isole del Mediterraneo.
I giorni di gara saranno il 17 ed il 18 agosto, due giornate di sei ore ciascuna che, alla fine delle stesse, decreteranno il Campione Euroafricano 1968 e la relativa nazione vincitrice.
L’organizzazione sarà (quasi) impeccabile.
In virtù della richiamata competizione agonistica, ed al fine di non creare vantaggi a nessuno atleta, già dalla fine del mese di aprile non era consentito pescare ai dilettanti (sub e pescatori di superficie) nelle acque del piccolo arcipelago.
Gli organizzatori volevano fare le cose in grande, superando la già brillante edizione di Ustica 1966 e vinta meritatamente dal maiorchino Juan Gomis.
In quel momento storico il piccolo coniet (coniglio come affettuosamente lo chiamano a Majorca), risultava essere una autentica stella nell’agonismo internazionale della pesca sub.
Sono presenti ben 15 compagini europee, ciascuna composta da tre atleti in acqua, oltre alla riserva ufficiale, nessuna delegazione è però presente in rappresentazione del continente africano. In acqua ci saranno quindi i migliori “sparapesci” d’Europa.

La Spagna schiererà l’ex Campione del Mondo, nonché – come già detto – attuale campione Euroafricano (Ustica 1966) Juan Gomis, Josè Noguera ormai quarantenne e memoria storica della Spagna (questa sarà una delle sue ultime gare internazionali) ed un giovanissimo Josè Amengual le cui gesta saranno scritte in modo indelebile negli anni avvenire.
La compagine francese sarà costituita da Hugues Dessault (costituirà qualche anno dopo il noto marchio francese Dessault), il veterano Gilbert Habert ed il giovane Gilbert Millerot.
L’Italia sarà rappresentata da Carlo Gasparri, Massimo Scarpati ed Arturo Santoro, il trio più forte della storia della pesca sub italiana di tutti i tempi, tant’è che l’anno successivo alle Eolie andrà a stravincere il titolo mondiale, a squadra e l’individuale, con uno successo ancor oggi mai eguagliato in questa disciplina sportiva, giungendo: 1° – 2° – 3°.
Le riserve dell’Italia saranno Donato Gerbino (riserva ufficiale) e Raffaello Bellani.
Alla vigilia i favori, neanche a dirlo, sono tutti per gli spagnoli, ottimi conoscitori dei luoghi e superlativi pescatori, i quali possono contare su due maiorchini (pescatori professionisti locali) di grandissimo spessore, il veterano Gomis ed il giovane talento Amengual, oltre alla vecchia volpeNoguera.
Gli italiani giungeranno sui luoghi solo tre giorni prima, capitanati da Cesare Giacchini nella qualità di D.T. ed accompagnati dal Segretario Generale della FIPS l’indimenticato Carlo Mastretta, già atleta romano di grande valore, che perderemo l’anno successivo stroncato da un micidiale infarto.
La location era stata scelta in un lussuoso albergo di Palma di Maiorca.
L’accoglienza degli spagnoli è stata all’altezza della loro proverbiale ospitalità, ed il programma della manifestazione era stato ben curato, anche nei minimi particolari, con la presenza – in occasione della premiazione – perfino del futuro Re di Spagna Juan Carlos Alfonso che salirà formalmente sul trono solo nel 1975 (nel 1968 eravamo ancora in epopea franchista), noto estimatore delle attività subacquee.
Ma, come spesso succede, arrivano all’ultimo ed inaspettate le difficoltà organizzative.
Solo alla vigilia della gara l’organizzazione comunica ufficialmente ai capitani delle squadre partecipanti che le barche, che partono da Palma de Majorca per arrivare a Cabrera trainate via mare, non saranno in numero sufficiente, pertanto un solo atleta, naturalmente sorteggiato fra i tre della propria nazione, potrà avere il mezzo a motore e su questo salirà la riserva ed il capitano, mentre gli altri due atleti potranno contare solo su barche a remi. Mancava quindi una quarta imbarcazione per il capitano al fine di seguire i propri atleti, specie quelli privi di mezzo nautico a motore.
Va doverosamente ricordato che il numero insufficiente delle barche e/o dei barcaioli si è puntualmente presentato agli organizzatori ed è stato sempre un grosso problema, sia in Italia che all’estero, basti pensare quello che successe in Irlanda a Kilkee nel 1974 od a Villasimius nel 1973.
L’ormai consolidato uso dei gommoni in Italia già dal 1978 ha definitivamente superato gli amabili ricatti delle marinerie locali.
Detto ciò ritorniamo alla nazionale italiana.
I nostri atleti avranno solo due giorni per ispezionare i fondali, in quanto il primo è andato via per la sistemazione degli atleti, con le loro copiose attrezzature, a Palma de Majorca.
Il primo giorno saranno ispezionati gran parte dei fondali dell’isola di Cabrera, mentre il secondo giorno sarà attenzionata la restante parte del campo di gara, isolotti compresi.
Gli azzurri (i tre titolari con le due riserve) nei due giorni di preparazione resteranno in acqua per quasi otto ore di fila, per meglio studiare i fondali. Il gruppo è ben coeso, pur insistendo fra gli atleti una fisiologica rivalità. Raro esempio di abnegazione sportiva.
La morfologia del fondale è certamente all’altezza delle aspettative: franate di roccia, intervallate da chiazze di posidonia che si poggiano sulla sabbia ad oltre trenta metri, offrono riparo a cernie, saraghi, corvine ed altre specie. Il pesce è molto presente e non pare troppo smaliziato, specie dopo i 15/20 metri, ma in acqua bassa i pinnuti non sono numerosi. La corrente, specie nei canali fra gli isolotti, è notevole. Di pesce però se ne vede tanto. La visibilità è eccezionale, ricorda molto quella di Ustica.
Alla sera della vigilia i nostri tre atleti, di concerto con le riserve e con la supervisione del livornese Cesare Giacchini, concordano la strategia da usare in gara e, soprattutto, dove pescare al fine di non penalizzarsi vicendevolmente. Il clima è sereno e, strano che possa sembrare, non ci sono malumori all’interno del gruppo.
Il 17 agosto, primo giorno di gara, la partenza è fissata dal molo della Colonia Sant Jordi a Palma, posto a circa 50 chilometri a sud di Palma ed a 15 chilometri da Cabrera, si pescherà nelle isole di Cabrera, di Conejera, di Redondà ed altri isolotti minori.
Il dio Nettuno, di concerto con il collega Eolo a questo punto decidono di metterci … “il carico”.
Infatti il mare comincia a gonfiare pesantemente: insiste un forte libeccio che nelle prime ore del pomeriggio girerà a ponente con notevole forza tanto da far temere il peggio.
Inoltre una serie di inconvenienti organizzativi non permetteranno di rispettare la tabella di marcia, tant’è che si prenderà il mare solo alle 11.00 diretti tutti verso il Faro dell’Horadada, posto al centro del campo di gara, mentre il via sarà dato solo alle 13:30!
Mai una gara di pesca sub ha avuto un simile ritardo, terminerà alle 19:30 dopo sei ore.
Prima di dare inizio alle “ostilità” il capitano della ex Jugoslavia, Josip Medur, sollecitato forse anche da altri soggetti rimasti però anonimi, chiede che il peso massino dei pesci venga ridotto da 15 a 12 chili, e ciò per ridurre il fattore “fortuna”.
Nulla quaestio.
In realtà tale frettolosa ed inusuale richiesta (fatta solo qualche ora prima dell’inizio della gara disattendendo quindi il regolamento ufficiale della manifestazione), e senza ricevere specifico diniego, nascondeva forse un interesse preciso, come meglio si dirà in seguito.
Infatti il primo giorno di esplorazione, nei pressi dell’isola di Cabrera, prima Gasparri e poi Scarpati hanno modo di individuare una grossa cernia di una ventina di chili.
La cernia, molto smaliziata, si trova ad una batimetria di circa 27/28 metri e staziona sotto un grande arco di roccia, con sotto sabbia bianca.
Appena l’elbano si avvicina (ricordo ai più che durante l’esplorazione non è consentito avere il fucile, pena la squalifica) il grosso serranide si intanava in una circoscritta franata di grossi sassi, posta sotto l’arco, che letteralmente “inghiottiva” l’animale. La ricerca in tana, vista anche la notevole profondità, diventava ardua perché la franata creava innumerevoli cunicoli. La cernia probabilmente si muoveva all’interno degli stessi, rendendo difficoltosa la sua localizzazione.

Gasparri non è convinto che tale preda possa essere catturata con facilità, complice anche la ricchezza dei fondali, ritiene quindi non conveniente perdere tempo e la “concede” volentieri all’amico Massimo.
Scarpati, che anch’egli aveva avuto modo di studiare con la dovuta attenzione il comportamento del grosso esemplare, è invece dell’avviso che si possa catturare, sparandola però solo fuori tana, quando la stessa è sotto l’arco.
Massimo è già in possesso del primo prototipo di Supersten 100 (uno sten più lungo) e monta un’asta del Vigojet da mm. 9. Il fucile, in quel momento storico, è un’autentica bomba.
La tecnica vincente, così come Massimo la racconterà, sarà quella di giungere sul fondo da dietro, senza farsi scorgere dal grosso animale, raggiungendo l’arco in modo defilato per presentarsi con il lungo arbalete pneumatico e sparare al volo prima che il serranide possa guadagnare la franata.
Il tutto comportava un tuffo molto impegnativo ed una consistente pinneggiata al fondo con un’apnea che doveva superare necessariamente i due minuti.
Questa individuazione del grosso serranide è però notata da diversi atleti che transitano nei paraggi ma non sono certo in grado di pescare a simili profondità.

Orbene, nella prima giornata Gasparri si fermerà nei pressi dell’Illes Pla, il ritmo del toscano è notevole, sta pescando ad una profondità di circa 20 metri, ha già una dozzina di pezzi tra saraghi e corvine e qualche cerniotta. A Carlo è toccato un barchino a remi in plastica, il barcaiolo fa una fatica enorme a stargli sopra e spesso, con le onde più grosse, imbarca acqua. Questo piccolo mezzo penalizzerà non poco l’elbano.
Santoro sta pescando invece nei pressi dell’Hordata, ha un uno splendido carniere composto da cernie, saraghi e corvine, il ritmo imposto dal tremitense è semplicemente impressionante, il longilineo atleta della Cressi pesca su una batimetria tra i 20/25 metri con qualche tuffo anche più profondo.

Arturo, complice anch’egli di una barca rigorosamente a remi, deciderà di non fare spostamenti. A fine gara dirà che, con quel mare così formato, risultava un autentico azzardo pensare di cambiare zona, anche se nelle ultime due ore catturerà poca roba.
Scarpati, a cui è stata assegnata per sorteggio la barca a motore, decide di partire subito sui segnali della grossa cernia la quale è posta in una zona praticamente isolata.

Il tuffo, minuziosamente programmato durante tutta la notte (notoriamente gli atleti per via della tensione agonistica dormono molto poco), riuscirà perfettamente, riuscendo a sparare il serranide fuori tana.
Il tiro è preciso e potente, centrerà in piena testa il bestione che, piano piano, si adagia sul fondo con qualche forte sussulto. Poi, prima che possa intanarsi, doppierà la cernia con un secondo colpo ed infine tirerà dalla superficie il grosso pesce tramite il sagolone del pallone.
Alla bilancia la preda peserà poco più di 18 chili.
A quel punto si accorge che la propria barca, con relativo barcaiolo e riserva ufficiale, è letteralmente sparita.
Non riesce proprio a scorgerla, atteso che sino al tuffo precedente, quello del secondo colpo tanto per intendersi, era sulla verticale dell’azzurro.
Le imprecazioni si sprecano, così come va via infruttuosamente il tempo.
La zona dove si è verificata la cattura è praticamente circondata da sabbia e posidonia, non c’è né roccia né pesce.
Dopo circa un’ora e mezza riesce a fermare una barca a motore della manifestazione e spiegare, in un inglese misto ad un colorito dialetto napoletano, di essere stato abbandonato dal proprio barcaiolo.
Dopo un’altra ora di inutile attesa e di tanta rabbia compare – quasi per incanto – il proprio barcone con la riserva Gerbino.
Ma che cosa era successo? …niente di particolare… semplicemente il barcaiolo aveva “capito” che, scaricato in acqua l’atleta, poteva ritornare alle proprie attività per ritornare sul luogo originario poco prima della chiusura delle 19:30…!!! Tutto qui…
Tale “incomprensione” costerà però circa tre ore di gara e tanta ma tanta rabbia al campione di Mergellina.
Nelle due ultime ore rimaste, debitamente spostatosi in altra zona, riuscirà a catturare due cernie ed una dozzina di pezzi bianchi.
Il napoletano alla fine è felice, sa di aver fatto bene ed oggettivamente di più non poteva sperare. La cattura della cernia testè descritta sarà la prova provata di una bravura senza pari.
Ma il tempo perso per l’abbandono in acqua non riesce proprio a digerirlo…
La prima giornata vedrà, come da pronostico, il trionfo di Gomis con 46.400 punti, un carniere imperioso costituito da cernie, saraghi e corvine, secondo Scarpati con 33.200 punti e terzo Santoro con 32.700 punti, Gasparri sarà sesto con 25.600 punti.
Per nazioni la Spagna è prima con un vantaggio risicato sull’Italia, terza la Francia, ma molto distaccata.

Alla cernia di Scarpati di oltre 18 chili, in virtù della riduzione del peso massimo (da kg. 15,00 a kg. 12.00), saranno riconosciuti solo 12.000 punti, oltre al coefficiente, decisione che al campione di Mergellina costeranno 3.000 punti.
Questo aspetto sarà meglio ripreso dopo.
Passiamo alla seconda giornata di gara che si svolgerà nella restante parte di Cabrera, e più segnatamente dal faro che si erge a sud di Las Ratas sino alla Grotta di Azul, posta a nord ed isolotti vari.
Anche oggi le barche arriveranno da Palma di Maiorca a Cabrera (in questa piccola isola il numero delle imbarcazioni è assai modesto) con grande ritardo: la competizione inizierà solo alle ore 13:00.
Nelle more durante la mattinata si alzerà, come il giorno precedente, un forte vento, stavolta da levante che ben presto formerà onde minacciose molto alte.
Diversamente da ieri oggi il pesce si è spostato e l’acqua è meno limpida rispetto al giorno prima, molte tane avvistate nei giorni precedenti risultano desolatamente vuote.
Gomis (il coniet maiorchino) è in difficoltà, pur conoscendo a mena dito questi fondali trova molte tane tristemente senza pesci. A fine giornata sarà solo 5° con 21.200 punti.
E gli italiani?
Gasparri non riesce a dare il meglio di se, concluderà la giornata al settimo posto con 15.600 punti, anche quest’oggi gli è stata sorteggiata una piccola barca in plastica, ma è di grande aiuto alla squadra.
Lo “scugnizzo napoletano” invece sta pescando bene, tuffo dopo tuffo arricchisce il proprio carniere con cernie e pesce bianco, ed alla fine della gara sarà secondo con 34.000 punti.
Santoro ha ingranato la quarta e sta pescando con un ritmo ancora più indiavolato rispetto al giorno prima, non pesca a segnali ma semplicemente a “fiuto”, ha una barca a motore, ma nella stessa salgono anche Giacchini e Mastretta che si allontanano continuamente per controllare e supportare gli altri due atleti italiani, lasciando Arturo inevitabilmente solo in acqua.
A fine gara il pugliese avrà il carniere più ricco e variegato, tant’è che vincerà la giornata.
Arturo però avrà tanto ma tanto da recriminare con la dea bendata.
Infatti perderà oltre mezz’ora nell’attesa che Cesare Giacchini, spostatosi per le ragioni anzidette, gli procuri un secondo coltello in quanto il proprio lo aveva perso.
Santoro ha necessità di tagliare la sagola del fucile per recuperare una bella cernia sparata in un cunicolo e tirarla da un’altra apertura.
E, dulcis in fundo, complice la decisione inaspettata di anticipare di trenta minuti la chiusura della gara, per via del mare che ingrossava minacciosamente mettendo in serio pericolo, specie per le piccole barche, il relativo rientro, sarà costretto a lasciare a Punta Imperatore un cernione di circa kg. 15,00, sparato in testa e fulminato, in una tana ad una profondità di 26 metri. Bisognava solo tirare l’asta e recuperare quindi il pesce, il tutto era possibile farlo nel tuffo seguente.
Quando Arturo risale e sta iperventilandosi per prepararsi al tuffo successivo al fine di recuperare quanto aveva appena sparato, gli viene comunicato dalla giuria che la gara è finita anzitempo per via del moto ondoso ulteriormente aumentato.
A questo punto Arturo, in ossequio al regolamento che lo costringe ad abbandonare la preda in parola, inizia ad imprecare in tutte le lingue che conosce…!
Il suo carniere – così come già detto – è variegato: cernie, saraghi, corvine ed un cappone di circa 700 grammi gli danno – come già scritto – la vittoria di giornata.
Ma vi è di più.
Solo a pesatura conclusa gli organizzatori si accorgono che il grosso scorfano rosso di Arturo non è stato pesato in quanto rinvenuto inspiegabilmente “fuori dal portapesci”.

La classifica finale individuale vedrà lo spagnolo Juan Gomis primo con 67.600 punti, Massimo Scarpati secondo con 67.200 punti e terzo Arturo Santoro con 67.000 punti. I primi tre classificati sono praticamente in un fazzoletto di soli 600 punti.
Carlo Gasparri sarà settimo con 41.000 punti.
Brevi considerazioni personali.
Senza nulla togliere a Gomis la cui classe era indiscutibile, e lo ha dimostrato ancora una volta, nella classifica finale a Scarpati mancano 3000 punti per l’inspiegabile decisione di ridurre il peso massino, decisione avvenuta solo qualche ora prima dell’inizio. Con i richiamati 3000 punti Massimo avrebbe vinto.
A Santoro, invece, non è stato pesato (non certo per censura) lo scorfano di circa 700 grammi che, unitamente al coefficiente, gli avrebbe dato meritatamente la vittoria finale atteso che la terza posizione si distanziava dal primo solo per 600 punti.
Per nazioni l’Italia arriverà prima con un 175.200 punti, seconda la Spagna con 147.680, terza la Francia con 97.080 punti e quarta la ex Jugoslavia con 66.940.

E’ lecito ipotizzare (ma questa è mera supposizione fatta a posteriore) che, ritenuto che alla vigilia della gara gli atleti italiani (Gasparri e Scarpati) siano stati visti sulla verticale del cernione di cui in narrativa, e considerato che molti, in primis gli spagnoli, conoscevano questo esemplare di “cernia impossibile”, a qualcuno sia venuto in mente di ridurre il peso massimo ove mai gli italiani avessero potuto catturarla…
Ed ancora, appare quantomeno singolare che il grosso cappone di Santoro si sia perso al momento della pesatura per essere poi ritrovato a classifica finale conclusa…
E, in ordine all’abbandono di Scarpati in acqua dal proprio barcaiolo, forse è meglio tacere…
Cesare Giacchini, vista la presenza di tante autorità e preso atto della superba organizzazione (solo a terra) della manifestazione, ha ritenuto non sollevare polemiche presentando specifici reclami.
Encomiabile bon ton del nostro C.T. ma questo comportamento è costato il titolo individuale sia a Massimo Scarpati per un motivo (anzi due) che ad Arturo Santoro per un altro.
La classifica parla chiaro: la nazionale italiana non ha solo vinto ma, cosa molto più importante e raramente ciò accade, ha soprattutto convinto, e questo su ammissione degli stessi spagnoli.
Alla premiazione finale la nazionale italiana, vincitrice dell’edizione 1968, sarà presentata come “la compagine più forte al mondo”!

I tre moschettieri azzurri, Gasparri, Scarpati, Santoro, sono stati atleti di incommensurabile bravura, autentici caposcuola negli anni successivi anche per altri agonisti: due su tutti Antonio Toschi e Milos Jurincic.
Il responso di questa manifestazione dirà ancora che la nazionale più forte del mondo era quella azzurra, e ciò lo dimostrerà anche l’anno successivo alle Eolie.
Arturo Santoro, in quel momento storico (veniva dallo strepitoso successo internazionale dell’Isola d’Elba), era forse l’atleta più forte esistente nel mediterraneo, allo stesso è però mancata la regolarità degli allenamenti e la figura di un buon consigliere.
Massimo Scarpati, fisicamente meno dotato, aveva un rigore atletico mai visto sino a quel momento, praticamente era una macchina agonistica programmata per vincere, e le classifiche – nazionali ed internazionali – dicono proprio questo.
Al prossimo racconto.
Buon mare a tutti
Gigi Anastasi

Per la stesura di questo articolo si ringrazia sentitamente l’amico Guido Quaglia.
1 COMMENTO
Gigi, un articolo esilarante. Mi sembra di essere presente fra i protagonisti. Avvincente! Continua. Grazie