
Claudio Ripa: il mito della pesca sub
Non so a voi, ma per me scrivere di Claudio Ripa, dell’indimenticabile fuoriclasse di caratura mondiale, è come entrare nell’aula magna dell’università e discutere la propria tesi di laurea: tremano le gambe per l’emozione nonché per l’autorevolezza e la poliedricità del personaggio carismatico che esiste in lui.
_INDICE DELL’ARTICOLO
Incipit
Il curriculum di Claudio Ripa
Il mondiale “soffiato”
Cernie che mangiano oloturie (?)
Ripa e la Cressi
L’archeologo Ripa
Figlio d’arte
Scarpati racconta Ripa
Il cacciatore Ripa
Redde rationem…
Incipit

Questo atleta è stato semplicemente unico e straordinario, le sue gesta sono rimaste irripetibili nella storia agonistica. Non ha avuto eguali nel panorama nazionale di tutti i tempi (eccetto Massimo Scarpati) per tecnica di pesca, intelligenza tattica e, non da ultimo, le quattro effe della pesca sub: fiato, fiuto e forza fisica.
Ma, e dispiace veramente scriverlo, le nuove generazioni solo sommariamente conoscono i “vecchi”, cioè quelli che veramente hanno scritto la storia della pesca subacquea agonistica.
Anche per Claudio Ripa – purtroppo – non si fa eccezione: i giovani non ne conoscono dettagliatamente né le gesta agonistiche (semplicemente straordinarie), né la carriera di autentico uomo di mare.
Ma andiamo per gradi, partendo da un modesto episodio realmente accaduto.
È una domenica di dicembre dello scorso anno, siamo in quel di S. M. La Scala/Acireale (CT) in occasione di un raduno di pesca sub.
Avevo chiesto nelle vie brevi di poter partecipare e, con encomiabile disponibilità e cortesia, sono stato accontentato.
Il raduno è fissato alle 7:30 proprio nello spiazzo davanti lo scoglio del Mulino.
Arrivo sul posto puntuale, l’aria dicembrina acese è sempre molto mite grazie alla timpa che ripara la zona dagli occasionali venti freddi, ma quasi tutti sono già lì; mi presento perché non conosco nessuno.
Nell’attesa dell’arrivo di qualche immancabile ritardatario – per rompere il ghiaccio – ricordo ai presenti, tutti giovani ma tecnicamente molto preparati e desiderosi di fare agonisticamente bene, che quello scoglio aspro di roccia lavica, distante poche decine di metri dalla costa, che si alza dal mare e sprofonda repentino ad oltre 50 metri di profondità, fu teatro nel 1957 di un campionato assoluto di pesca subacquea (allora si disputavano in una sola giornata), l’unico nella storia svolto in questa provincia.
I presenti, evidentemente non conoscendo la storia agonistica più antica di questa disciplina, sono tutti attenti ed ammutoliti, un po’ per rispetto verso i miei capelli bianchi ed un po’ per autentica curiosità nel sentire storie e nomi a loro praticamente sconosciuti.
Ed io continuo nel mio racconto: fu la vittoria straordinaria di un napoletano che catturò diversi dotti, con il suo fucile a molla denominato torpedine, in un piccolo gradino poggiato sul fondo alla profondità di circa 20 metri, faceva l’aspetto – già allora i fuoriclasse applicavano questa tecnica – in una giornata di acqua torbida e fredda, pur essendo il mese di agosto.

Quel fuoriclasse napoletano si chiamava Ennio Falco e vincerà il suo primo titolo italiano proprio in quello scoglio, bissando il successo anche l’anno successivo all’isola d’Elba.

I ragazzi sono stupiti perché non immaginavano che proprio in quel tratto di mare a loro così familiare si fosse disputato un assoluto, ma tutti – va riconosciuto – sono attenti ed ascoltano in religioso silenzio.
Ed io continuo a raccontare, e come tutte le persone di una certa età sono un po’ logorroico e non mi fermo. Dissi loro che Ennio in quella gara fece la differenza. Ma dal terzo al quinto posto c’erano in classifica pochissimi grammi di scarto.
Proprio al quinto posto c’è un altro giovanissimo napoletano molto promettente, di lui già si parla un gran bene, il suo nome è Claudio Ripa.

I giovani ascoltano il nome di Claudio Ripa ma mi pare di scorgere – dalle espressioni dei visi in alcuni di loro -, una frase di antica memoria manzoniana: … “Claudio Ripa, … chi è costui?”
Bene, se alcuni giovani non conoscono il mito Claudio Ripa non è certamente una loro responsabilità.
Gli è che, molto più sinceramente, la mia generazione non è stata così precisa e puntuale nel raccontare, e quindi trasmettere alle nuove leve, il talento ed il valore di antichi e cristallini fuoriclasse del passato, oltre a quelli appena citati, non si può non menzionare un altro grande della pesca sub, Gegè Jannuzzi di Fuscaldo Marina, il campione dalla cuffia rossa.

Orbene, a questo punto – ma solo per dare una prima idea dello spessore agonistico – ritengo doveroso compendiare in poche battute il curriculum di questo straordinario atleta.
Il curriculum di Claudio Ripa
Claudio Ripa, non ancora diciottenne, ha vinto il campionato italiano di seconda categoria nel 1951 all’Argentario (ancor oggi, dopo settant’anni, è un autentico record imbattuto), e dimostrò – da subito – di avere qualità semplicemente impensabili sino a quel momento storico.
In questo campionato di seconda si presenterà, dopo aver sbaragliato alcune gare selettive, con uno strumento nuovo, dallo stesso autocostruito, comunque mai visto prima: la torcia subacquea.
Un famoso campione d’allora, che certo non brillava per acume, ritenendo ovviamente inutile e superfluo quell’attrezzo, e quindi non cogliendone l’importanza della geniale idea di quel giovane atleta, gli chiese – con tono di sfottò – se per caso avesse quella torcia per illuminare… l’orologio…!
Fra l’altro va doverosamente detto che la torcia di Claudio era ottimamente impermeabilizzata essendo infilata in un tubo di camera d’aria saldata dietro e con un vetro messo a pressione dalla tenuta perfetta, addirittura erano cinque le lampadine montate sulla parabola e le pile, per ingombrare meno, erano quelle piatte.
Diversi anni dopo la Mares prese a prestito l’idea e creò – partendo proprio da quel progetto ed applicando ovviamente le opportune modifiche – la torcia Neptun poi, con la linea Scarpati, diventerà Nuova Neptun.
Il suo sarà un excursus agonistico semplicemente trionfante, riuscirà a vincere, anzi a stravincere, due titoli italiani consecutivi nel 1960 all’Elba e nel 1961 alle Tremiti.
Parteciperà anche a due Euroafricani, entrambi alle Tremiti nel 1962 e nel 1964.
Per correttezza espositiva va doverosamente ricordato che alla vigilia di quello del 1962 Claudio era dato per scontato vincitore in quanto molto allenato e concentrato.
Ricordo, ancora, che l’anno precedente aveva stravinto proprio in quell’arcipelago l’assoluto totalizzando 70.650 punti contro i 27.095 del secondo classificato.
Ma, ironia della sorte, la sera prima della gara accuserà improvvisamente ed inspiegabilmente devastanti dolori intestinali (ma la dieta e quindi l’alimentazione ovviamente era uguale per tutti gli atleti…; una cosa assai strana, mai chiarita…), tanto che l’indomani mattina il capitano lo sostituì, visto il precario stato di salute di Claudio, con la riserva Cecè Paladino.

Ebbene, il palermitano Cecè – rampollo della nobile famiglia dei Florio – vincerà alla grande (bisserà il secondo classificato Guido Treleani) laureandosi campione Euroafricano, naturalmente grazie alle mire dettagliate delle tane di corvine e di una grossa cernia intanata in una grotta, con suggerimenti magistralmente forniti la stessa mattina dal grande Ripa.
In quella gara, non potendo partecipare, Claudio perse la possibilità di vincere l’Euroafricano (sono in tanti a giurare che l’avrebbe stravinto a mani basse così come aveva fatto l’anno precedente), ma portò a casa il premio savoir faire, oltre la medaglia d’oro in quanto l’Italia giunse prima.
Dobbiamo essere sinceri ed onesti: in quanti di noi avrebbero avuto così tanta generosità e benevolenza verso un giovane compagno di squadra nel dargli le mire e tutti i suggerimenti per una vincente condotta di gara?
Qualche mese dopo, durante un reportage fotografico all’isola del Giglio a cui stava lavorando con l’autorespiratore, si embolizza ed è costretto a fermarsi per quasi due anni.
Riprenderà l’attività agonistica solo nel 1964, sempre all’Euroafricano alle Tremiti, ancora in non perfette condizioni fisiche, arriverà quinto a pochi grammi dal terzo classificato, ma vincerà comunque l’oro a squadre.
Ai mondiali, invocando il detto latino vivant sequentes, sarà terzo nel 1958 a Sesimbra in Portogallo, ed ancora terzo nel 1959 a Malta; nel 1960 arrivò secondo ai mondiali di Lipari/Ustica, questa volta per un autentico “soffio“, un nonnulla, solo pochi grammi di pesce; nel 1961 fu nuovamente terzo in Spagna, ad Almería, dove, come scrive Franco Capodarte nella Enciclopedia dello Sport, «terzo con 140.000 punti, fu indicato come il vero campione del mondo per quello che riuscì a fare in fondali del tutto sconosciuti» (http://www.treccani.it/enciclopedia/attivita-subacquee_%28Enciclopedia-dello-Sport%29/).
Il Mondiale “soffiato”
Ricordo ai più che ai Mondiali del 1960 ci fu il giallo della doppia bilancia e, quindi, della doppia pesata, che consacrò – ma solo successivamente – la vittoria del brasiliano Bruno Hermanny, precedentemente assegnata invece a Claudio.

Mi permetto evidenziare che i regolamenti, sia nazionali che internazionali, prevedevano già allora che tutto il pescato venisse pesato da una sola bilancia e non, per convenienza, da una seconda perché la prima, a detta di qualcuno, non risultava precisa.
L’allora capitano della nazionale non ritenne opportuno fare osservare il regolamento (…?…), non fece alcuna resistenza all’inusuale richiesta brasiliana e, quindi, non ebbe nulla da ridire per una seconda pesata esclusivamente per i pesci del sudamericano con altra bilancia fatta venire apposta da altra località dopo quasi due ore.
Questa, invece, decretò l’affermazione del brasiliano scucendo in tal modo il titolo iridato assegnato qualche ora prima a Ripa.
Claudio, domenica 22 agosto 1960 perse in tal modo il titolo per “pochi grammi di pesce” in favore di Hermanny.
Per completezza di racconto va comunque detto che in questo Mondiale l’Italia vinse alla grande il titolo a squadra, e determinante – neanche a dirlo – fu l’apporto di Claudio arrivato secondo per un soffio.
Seconda la Spagna, terzi gli U.S.A e solo quarto il Brasile.
L’Italia era dunque campione del Mondo a Squadra con il trio Ripa 2° – Jannuzzi 4°– Olschki 9°.
A tal riguardo rimando il lettore di turno ad uno storico articolo, a firma di Alessandro Olschki, comparso sulla rivista Mondo Sommerso ottobre 1960 pag. 19 e seguenti, dal titolo:
Tre errori che costano una cernia… e una cernia che costa un campionato.
A. Olschki

È un compendio della gara veramente originale, definito allora in controluce, cioè visto dall’acqua e non da fuori dell’acqua, in quanto scritto proprio da un atleta partecipante, il fiorentino Alessandro Olschki.
Ma degli esiti di tale risultato, e del relativo sviluppo, dirò meglio appresso.
La sua carriera agonistica, durata complessivamente solo tredici anni ed intervallata da diverse embolie devastanti (pescherà il corallo insieme a Ennio Falco e ad altri amici per… campare) lo terranno fuori da diverse importanti manifestazioni sportive.
Una fra queste gli assoluti di Ischia del 1962 organizzati proprio davanti casa di Ripa. O, diversamente, partecipante ma in precarie condizioni fisiche (embolia all’isola del Giglio).
Va inoltre ricordato che gli assoluti del 1959 a Tavolara e Molara, per avverse condizioni meteo, non furono validi (si gareggiò solo la prima giornata).
Al Gran Trofeo Internazionale di Ustica all’inizio di luglio 1964 sarà medaglia d’argento.
I trionfali successi agonistici, nazionali ed internazionali, di questo fuoriclasse si fermeranno – purtroppo – all’isola d’Elba nel 1964.
Cernie che mangiano oloturie (?)
L’abbandono anzitempo dell’agonismo di Claudio, a soli 31 anni lui lo attribuì, in ogni dichiarazione pubblica, alle condizioni fisiche non più eccellenti dopo l’embolia che gli causò danni irreparabili, ma è invece riconducibile alla giuria di quel campionato, composta da tre commissari, la quale non ritenne opportuno squalificare un atleta, certo Bruno Bartoli, in quanto nella pancia di una cernia catturata nella seconda giornata dal livornese, furono trovate diverse grosse oloturie perfettamente integre, unitamente ad un polpo ancora non aggredito dai succhi gastrici del serranide.

L’episodio era certamente grave, ed al fine di essere più asettico possibile, oggi riporto pedissequamente l’articolo di quel tempo, scritto dal grande Giancarlo Annunziata su Mondo Sommerso n. 9/1964 pagina 34 e seguenti, che così recita:
“Da ultimo, un colpo giallo.
Al termine della pesatura della seconda giornata, Claudio Ripa si è avvicinato ad una delle tre cernie con cui Bartoli si era aggiudicato il round, estraendone con la mano un polpo e tre oloturie.
Tutti gli atleti hanno firmato un reclamo che è stato subito inoltrato a chi di dovere.
I commissari di gara hanno però respinto il reclamo in prima istanza, ritenendo ormai “inghiottiti” polpo e oloturie.
Non vogliamo mettere in dubbio nulla, ma il nome di Bartoli è stato collegato già altre volte a fatti del genere.
I nostri biologi, da noi interpellati, hanno trovato molto strano (e che a loro consti, addirittura mai accaduto) che una cernia si possa essere cibata di oloturie”.
Claudio si infuriò (giustamente) e mandò a quel paese la FIPS, le gare e quei giudici troppo accomodanti.
Per mero tuziorismo preciso che il collegio giudicante si espresse in tal modo: due giudici risultarono accomodanti, mentre il terzo – rimasto in minoranza – si era espresso per la squalifica.
Non vi sono dubbi: fu un grossolano errore commesso, non solo dai giudici in questione, ma soprattutto dai vertici federali della FIPS che dimostrarono, oltre che tracotanza, anche una forte miopia sportiva.
Perdere agonisticamente Claudio Ripa fu un errore di immagine, il più grande autogoal che la FIPS potesse mai fare!
Ma ancor più grave è, a mio parere, che di questo gratuito torto la federazione non gli ha mai presentato formali scuse.
Claudio, è uomo vero come pochi, fatto tutto di un pezzo.
Non sentì ragioni ed al campionato dell’anno successivo, tenendo fede a quanto aveva detto, non si presentò.
Lui con le gare aveva chiuso e, soprattutto, con certe politiche della FIPS.
Coerentemente rinunciò anche alla partecipazione ai mondiali di Tahiti nel 1965: quella manifestazione fu una autentica ed imbarazzante disfatta per i colori azzurri.
Ma vi è di più.
Qualcuno malignò gratuitamente che il ritiro era dettato anche da “limiti di età” e che il rigetto del reclamo era solo una maldestra scusa.
Niente di più falso ed ingannevole.

Claudio al campionato in parola aveva solo 31 anni, appena uno in più di Gasparri (vincitore di quell’assoluto) il quale, solo per chi non lo sapesse, gareggiò sino al 1975, cioè all’età di quarant’anni suonati vincendo a S. Teresa di Gallura il suo quinto titolo italiano.
È ormai consolidato che nella subacquea agonistica la maturità si ottiene dopo i trent’anni, basti pensare ai successi di Antonio Toschi, Milos Jurincic, Claudio Poggi, Beniamino Cascone, solo per citare qualche quarantenne italiano.
Sarà forse una coincidenza ma da quel momento i rapporti tra Claudio e la FIPS si incrinarono e, nonostante il tempo trascorso, ancor oggi non si sono più ricuciti.
Ma Claudio Ripa sarà ricordato come uno dei più grandi atleti della storia della pesca subacquea italiana, mentre Bruno Bartoli …come quello che arrivò terzo con le oloturie…
Dopo quel campionato Claudio passò il bastone del comando ad un altro promettente giovane napoletano: quel Massimo Scarpati che ricorda molto lo stile di Claudio e saprà scrivere, anch’egli in modo indelebile ed unico, la storia della pesca sub mondiale.

In Massimo sono in tanti a riconoscere, non solo lo stile, ma anche l’intelligenza e la competenza tecnica del grande Ripa.
Chi conosceva bene l’ambiente agonistico partenopeo definì Massimo Scarpati come l’autentica “rincarnazione” di Claudio Ripa, aggiungendo però grande regolarità e costanza negli allenamenti.
Massimo, rispetto a Claudio, associò un rigore scientifico mai visto prima nella preparazione delle gare.

Massimo Scarpati, a differenza di Claudio Ripa, era programmato come una macchina per fare esclusivamente gare e vincerle. Questi non conosceva distrazioni di sorta.
Massimo Scarpati, solo dopo aver chiuso con l’agonismo, si dedicherà alla pesca del corallo.
E i risultati agonistici di questo superlativo ma sfortunato atleta sono ormai scritti nella storia delle classifiche della pesca sub mondiale. Ma di questo ne parleremo dopo.
Questa, in estrema sintesi, è la storia agonistica del grande Claudio Ripa, figura mitica e carismatica senza pari.
Ripa e la Cressi

Claudio Ripa, soggetto di rara intelligenza e pervicacia, sempre disponibile ed estremamente corretto, di una generosità senza limiti, da atleta prima e da agente poi, sarà anche ideatore di attrezzature subacquee e collaborerà per molti lustri con la Cressi.
Infatti il grande Egidio (che di fiuto ne aveva da vendere) da subito lo volle con sé, intuendo in questo giovane atleta partenopeo doti straordinarie, mai viste sino ad allora. Ed Egidio, anche in questo caso, non si sbagliò di una virgola.
Claudio ha lavorato, anzi per essere più precisi, ha dato l’anima per la Cressi Sub per oltre quarant’anni, arrivando ad essere, a fine carriera, “Il Generale” cioè il direttore generale degli agenti in Italia, così come fu dipinto in uno storico articolo comparso su Mondo Sommerso a firma del grande Ninì Cafiero.
Ma Claudio Ripa non è stato solo un atleta, lui era – così come già detto – un uomo poliedrico, capace di abbracciare contemporaneamente interessi diversi, sempre però riconducibili all’acqua salata.
E qui mi viene in mente quanto scrisse lo scrittore americano Jack London (l’autore di zanna bianca):
“quando lo spirito del mare ti entrerà nelle vene non potrai più liberartene”.
J. London
Ho motivo di credere che Jack London, nello scrivere questo pensiero, si sia ispirato proprio a Claudio Ripa.
Voglio inoltre ricordare ai più che Claudio era solito dire: “sub non si nasce, si diventa. Ma uno può imparare a scendere più profondo, ad acquistare un’acquaticità sempre maggiore, ma forse cacciatore, terrestre o subacqueo che sia, si nasce. Per il cacciatore subacqueo il “senso della tana” è il suo sesto senso, ed è un senso che non si può trasmettere agli altri attraverso un articolo, un esauriente trattato o un corso fatto a mare”.
Ma sarà anche pescatore di corallo insieme all’amico Ennio Falco, ad Alberto Novelli, Pelos La Capria, Leonardo Fusco, con i quali tra l’altro scoprì le famose Grotte di Capo Caccia: Claudio Ripa è stato tra i primi in Italia a pescare il corallo con l’autorespiratore (prima era solo recuperato con lo strumento denominato “ingegno”, una sorta di croce in legno con la parte inferiore in piombo e relativo sacco per raccogliere il corallo che cadeva a seguito di forti sollecitazioni che riceveva dai pescatori con le barche, e questa lunga esperienza gli permetterà di essere uno dei massimi conoscitori delle varie specie di corallo mediterraneo, dall’inizio del ciclo produttivo dove i suoi studi provavano che non arrecava danni ambientali. Così come spesse volte il Prof. Raffaele Pallotta ha dichiarato che la medicina iperbarica ha fatto grandi progressi proprio studiando le imprese di Ripa e dei suoi colleghi dell’epoca.
Per molti anni il duo Falco – Ripa sarà, così come in tanti li definivano, … il terrore dei pesci del Mediterraneo quando andavano a pescare.
Claudio, che per simpatia non è mai stato secondo a nessuno, soleva chiedere ad Ennio:… addò t’ha sienti ‘a chiammata …?
“Io partivo in una direzione ed Ennio, invece, esattamente a quella opposta alla mia”. “Alla fine della pescata entrambi prendevamo tanto pesce da riempire una barca”.
Attenzione, ricordo al lettore che stiamo parlando di due autentici fuoriclasse che hanno scritto la storia della pesca subacquea italiana.
L’archeologo Ripa

Ma, come dicevamo, sempre nell’ambito delle attività subacquee Claudio Ripa ha fatto anche molto altro: si è reso protagonista di alcune delle più emozionanti scoperte archeologiche sottomarine dell’area flegrea, tra cui quella dell’Ulisse e del Bajos di Punta Epitaffio, quella dell’altare nabateo trovato nel mare di Pozzuoli, delle centinaia di lucerne e della statua acefala del Portus Julius, tutti reperti recuperati di concerto con la Soprintendenza e attualmente conservati presso il Museo Archeologico di Baia e presso il Museo Archeologico di Napoli.

Claudio Ripa ha fondato ed è stato a lungo presidente del primo centro subacqueo archeologico di Baia, dedicandolo alla memoria del suo amico: Centro di Ricerche Archeologiche Subacquee “Ennio Falco”.

Fotografo di grandissima qualità: collaudava, costruiva e/o modificava macchine fotografiche per il settore. Del resto, per la sua inventiva in genere e per la sua capacità di risolvere problemi di ogni genere, Ninì Cafiero lo aveva soprannominato “Eu Genio Bell’Idea”.
Quando Claudio prendeva una macchina fotografica letteralmente si trasformava: da straordinario cacciatore subacqueo diventava un autentico artista dell’immagine e delle luci, infatti le sue non erano propriamente foto ma…poesie di colori e riflessi.

Storica rimarrà la sua amicizia e collaborazione con Maurizio Sarra fino a quando al Circeo nel settembre del 1962 una elica – cieca ed irresponsabile – ci ruberà per sempre questo giovane talento della fotografia subacquea che aveva imparato ad andare giù proprio dal grande Claudio, le cui fotografie sono ancor oggi icona di bellezza e di tecnica.
Giornalista pubblicista dalla penna sopraffina per le migliori testate del settore, in primis Mondo Sommerso del magnate Goffredo Lombardo che lo manderà come “inviato speciale” in giro per il mondo.
Scrisse poi regolarmente per “Il Subacqueo” per il quale curava anche una specifica rubrica.
Ha pubblicato su Skin Diver, alcune sue foto archeologiche sono su National Geographic e ha scritto su vari quotidiani e riviste, ha partecipato a trasmissioni televisive italiane e internazionali, ha diretto la rivista Dioniso. L’uomo e l’ambiente.

Ha collaborato con testi e fotografie alla Grande Enciclopedia del mare diretta di Folco Quillici e con Sub. Enciclopedia del Subacqueo, diretta da Alessandro (Bubi) Olschki.
Da giovane collaborò con la Stazione Zoologica Anton Dohrn, meglio conosciuta dal grande pubblico come l’Acquario di Napoli, come subacqueo che aiutava gli studiosi nelle loro ricerche, poi è stato co-fondatore, insieme a Bubi Olschky, Paolo Notarbartolo, Alessandro Colantoni, Piero Solaini del Gruppo di Ricerche Scientifiche e Tecniche Subacquee di Firenze, con cui partecipò a varie spedizioni importanti tra le quali, alle Isole Eolie una spedizione con il Makate, un brigantino/goletta per una ricerca archeologica sul relitto romano di Filicudi e la spedizione biologica e geologica presso il fiordo di Gedda, in Arabia Saudita, ricerca commissionata dal Gruppo della King Abdulaziz University.
Nel 1961 ha ricevuto il Tridente d’Oro dell’Accademia Internazionale di Scienze e Tecniche Subacquee per le attività sportive.
Nel 2000, unico al mondo, finora, insieme a Folco Quilici, riceverà ad Ustica ancora un altro Tridente d’Oro, stavolta alla carriera.
Sarà inoltre insignito anche della cittadinanza onoraria ad Ustica e ricoprirà per molti anni anche la carica di vice presidente dell’Accademia Internazionale di Scienze e Tecniche Subacquee.
Sarà, ancora, medaglia d’Oro al Valore Atletico del CONI nonché Cavaliere della Repubblica al merito sportivo.
Lello Pallotta, Paolo Colantoni, Folco Quilici, Americo Santarelli, Victor De Santis, Roberto Dei, Ninì Cafiero, Giancarlo Annunziata, Paolo Notarbartolo e tanti altri illustri personaggi della subacquea hanno scritto pagine indelebili su Claudio, dimostrando ossequio e rispetto per un uomo veramente eccezionale.
Nella sua amata Napoli è ancor oggi una autentica istituzione e, se pur corteggiato, non si è mai avvicinato alla politica…
Sarà anche Consigliere Nazionale e delegato regionale dell’Associazione Medaglie d’Oro al Valore Atletico.
Naturalmente avrà anche cariche all’interno della FIPS per un quadriennio, e più segnatamente, sarà Presidente Nazionale delle Commissioni di Archeologia, Fotografia e Didattica della F.I.P.S.A.S.
Ma, in tutta verità, questo lavoro, probabilmente per quanto riportato nelle precedenti righe, mal lo sopportava forse perché non riusciva a muoversi serenamente tra i difficili corridoi federali…
Figlio d’arte
Ma Claudio, forse non tutti lo sanno, è figlio d’arte.

Infatti Pasquale Ripa, e lo scrive anche Duilio Marcante nella Storia delle Attività Sportive Subacquee, iniziò l’attività subacquea con un altro leggendario pioniere, Luigi Miraglia, già all’epoca presente nel viaggio a Napoli dei tre giapponesi che vennero a pescare con il patià, alcuni anni prima della guerra.
I due (Ripa e Miraglia) invece prendevano i pesci con il fucile subacqueo a molla, autocostruito.
Mentre Pasquale Ripa è rimasto fedele al suo golfo, Miraglia, professore di biologia ed anch’egli napoletano, ha scelto una vita più avventurosa con frequenti viaggi all’estero (sud America) dove lì risiederà definitivamente.
Ma i due napoletani erano come fratelli, tanto che Claudio lo chiamava zio.
Orbene, fatta questa prima carrellata per descrivere, se pur sommariamente, la figura di questo autentico fuoriclasse, nella sua lunga e brillante carriera Claudio ha superato più di una situazione critica.
Famoso è rimasto l’episodio del Vervece sul quale l’ex campione scrisse un lontano articolo intitolato “i quindici metri più lunghi della mia vita”.
L’episodio accadde ai primi di luglio del 1953 quando Ripa si stava allenando per i campionati italiani in programma a Procida ed a Ischia.
Così come quando rimase incastrato con la testa in un buco a 20 metri di profondità a Lampedusa ma, per non dilungarmi oltre ogni dire, risparmio al lettore di turno tale descrizione.
O ancora l’episodio che vide Ripa, nelle acque di Marechiaro alla Gaiola, miracolato dalla solita elica cieca ed irresponsabile di un motoscafo in quanto si aiutò con il fucile, facendo leva sulla carena della barca, evitando in tal modo di rimanere affettato.
Ripa è stato tra i primissimi ad adottare attrezzature d’avanguardia che la fertile inventiva, prima del suo famoso padre e poi dell’esperienza dello stesso, aiutava ad escogitare.
Claudio, e pochi lo sanno, ha concretamente aiutato la Cressi non solo nella vendita degli articoli, ma anche nella progettazione prima, e nel collaudo dopo, di articoli di grande successo (non il fucile Kid, quello fu voluto da altri…).
Ripa raccontava che quando gareggiava negli anni cinquanta/sessanta la Cressi gli faceva delle pinne Rondine un po’ speciali, con una costolatura più accentuata, in tal modo risultavano essere più rigide, e rispondevano quindi meglio alle sue esigenze.

Voglio solo ricordare all’inizio il fucile a molla denominato cernia velox che presentava nella canna superiore, rispetto al cernia sport di pari misura (due metri), due piccole alette in alluminio rientranti per facilitare il caricamento, l’arpione Cernia con alette sfalsate (non parallele) ideato appositamente per i fucili a molla, ed oggi – dopo tanti anni – ripresentato sul mercato, la maschera Pinova, il pneumatico Lampo, poi il Mach, ancora il Jumbo ed infine l’SL (superleggero).
Intuendo inoltre che il mercato dei fucili sub sarebbe cambiato, ideò prima e collaudò poi il primo arbalète Cressi tutto italiano (non copiato da quelli francesi, tanto per capirci), ed ancora le pinne Rondine V (con calzata destra e sinistra) e mi fermo qui in quanto la lista è molto lunga.
Ma di tutto ciò, forse complice una generosità senza pari, non né ha mai reclamato la paternità.
Claudio era fatto così, la sua generosità non aveva interessi o royalties da difendere e/o da tutelare.
Scarpati racconta Ripa
Molti anni dopo Massimo Scarpati fu l’ideatore della linea Scarpati, attrezzature presentate al Salone di Genova nell’ottobre 1974, articoli già allora avanzatissimi (ma ancora oggi attuali: basti pensare all’intramontabile piombo mobile, al coltellino da cintura, alle pinne lunghe o all’intramontabile Ventosa, maschera unica nel suo genere ed ancor oggi validissima, il Supersten presente in tutte le sacche dei pescatori subacquei più capaci, solo per citare alcuni articoli) ma, a ben vedere, in questa attrezzatura c’era tanto dell’esperienza storica partenopea.
Massimo e Claudio, pur avendo nove anni di differenza (il primo del 1933 mentre il secondo del 1942) hanno molto ma molto in comune, e non solo i natali o il mare di Mergellina.
E, per autentica fortuna della subacquea italiana e mondiale, sono rimasti – “i due germani” – sempre molto vicini, infatti non si può parlare di Massimo senza ricordare Claudio, e viceversa.
Claudio e Massimo sono stati come due fratelli, l’affetto che ancor oggi li unisce è incommensurabile. Raro esempio di autentica, genuina e duratura amicizia.

A questo punto appare doveroso ed opportuno chiedere una testimonianza anche dell’amico Massimo Scarpati, che ringrazio sentitamente per la sua disponibilità.
Oggi ha voluto portare la sua presenza con un breve episodio realmente accaduto.
Massimo Scarpati testualmente così scrive:
“Con Claudio Ripa potrei ricordare una infinità di episodi che hanno arricchito e consolidato la nostra amicizia. Conobbi Claudio nel 1962 ai Campionati Italiani svolti ad Ischia. Claudio non partecipava perché reduce da una grave embolia, infatti a stento si reggeva in piedi. I napoletani presenti erano solo Ennio Falco e Claudio Jodice (bravissimo atleta di quel periodo, denominato dagli amici il Re della seconda categoria, titolare di una avviatissima palestra in quel di Napoli che Massimo Scarpati frequentava con grande regolarità n.d.a.).
Io avevo vent’anni ed ero ad Ischia in vacanza con la mia famiglia e già pescavo da qualche anno, proprio sui fondali scelti per il campionato. Ero lì anche per vedere come pescavano i grandi campioni che conoscevo solo di fama in quanto assiduo lettore di Mondo Sommerso. Chiesi ed ottenni di essere iscritto come Ispettore di Gara (questa figura, molto apprezzata in quegli anni, aveva lo scopo di “controllare l’atleta” n.d.a.), con la speranza di essere sorteggiato sulla barca di uno dei due napoletani, e ciò per fornire loro a richiesta dei segnali di tane buone. Durante il sorteggio, emozionatissimo oltre ogni dire, potei avvicinare i campioni partenopei al fine di fare la loro conoscenza. Claudio Ripa, così come ho già detto, non partecipava ma aveva al collo una macchina fotografica. Purtroppo ogni tentativo di presentazione, aiutato dal mio compagno di pesca che lo conosceva bene, risultava puntualmente infruttuoso: non nascondo che rimasi un po’ deluso. Il sorteggio mi vide in barca con il livornese Bruno Bartoli che riuscì a piazzarsi al secondo posto, dietro l’altro toscano Paolo Bencini. Dopo aver visto i grandi campioni, presi la decisione di lanciarmi anch’io nell’attività agonistica. Nel 1964 ero qualificato per i Campionati Italiani che si svolgevano all’Elba e Pianosa vinti da Carlo Gasparri. Ricordo che mi classificai 5° e Claudio 6°. Non fu certo una bella esperienza in quanto Claudio, ma non solo lui, contestò Bruno Bartoli in quanto questi nella seconda giornata si presentò alla pesatura con delle cernie piene di oloturie, polpi e qualche sasso. I giudici non squalificarono Bartoli adducendo che poteva succedere che le cernie, mangiando i polpi, potessero ingoiare anche oloturie e sassi.
Claudio si amareggiò a tal punto che, per protesta, annunciò il suo definitivo ritiro dalle competizioni.
Ho voluto ricordare questo episodio solo perché nemmeno un mese dopo ero ad Ischia con la famiglia ed un bel giorno ci trovammo davanti casa il grande Claudio Ripa.
Claudio era venuto appositamente per me per farmi un servizio fotografico.
L’emozione non fu solo mia, ma di tutta la mia famiglia. Ma anche di mia madre e di mio padre perché mi avevano sentito parlare sempre un gran bene di Claudio, era una sorta di idolo per Napoli.
Il giorno dopo andammo a pescare insieme ed io catturai un piccolo dentice all’aspetto. Lui era solo in possesso di macchine fotografiche, esterne e subacquee, e scattò diverse foto.
Dopo quell’episodio Claudio divenne uno di famiglia.
Nel 1974 a Kilkee in Irlanda, con Claudio capitano della nazionale, ho vinto il titolo Euroafricano. La presenza carismatica di Claudio Ripa mi portò bene.
Era un successo che volevo fortemente e lo rincorrevo già da molti anni, arrivando nelle tre precedenti edizioni sempre secondo. Ho altresì partecipato, in quanto Claudio mi coinvolgeva, a tutti i lavori subacquei sulle statue di Baia. Aggiungo, infine, che i racconti di Claudio in ordine alla pesca del corallo, con Falco, Novelli, Bucher, Fusco e tanti altri, hanno sempre suscitato in me tanta e tale curiosità che, dopo aver smesso di gareggiare, ho voluto anch’io intraprendere questa professione di pescatore di corallo, passione che mi fu inculcata proprio dal grande Claudio Ripa.
Ringrazio ancora Massimo Scarpati per questa toccante testimonianza, scritta non con la penna ma con il cuore, per l’amico Claudio Ripa.
Ebbene, faccio ancora appello alla pazienza del lettore di questo articolo, per raccontare un colorito episodio realmente accaduto.
Claudio Ripa, visto l’invidiabile curriculum, fu invitato dal Rettore della Normale di Pisa ad una conferenza sul tema “storia ed evoluzione della subacquea nel mediterraneo”.
Dopo una attenta, puntuale e precisa narrazione storica sugli di questa disciplina che ha avuto nel tempo, intervallata anche da qualche flash sull’agonismo sub, dal numeroso ed attento pubblico di studenti – rimasto veramente affascinato dalle storie dell’autorevole relatore – fu posta una domanda.
Un giovane, segnatamente impressionato dai racconti e quindi dalle gesta di questo autentico campione, chiese sinteticamente con il dovuto ossequio:
“Mi scusi, ma Lei le branchie dove ce le ha?”
Capitano della Nazionale di Pesca Sub tra il 1973 ed il 1975, incarico poi raccolto e/o voluto fortemente da un salumiere livornese.

In questi due anni, confermano diversi atleti azzurri, il peso specifico che Claudio raccoglieva all’estero era senza precedenti, veniva ricordato oltre frontiera ancora come il più forte atleta che la subacquea italiana abbia mai avuto, unitamente a Scarpati.
Sono consapevole di poter forse irritare qualcuno, e di ciò me ne scuso sin d’ora perché l’intendo non è certamente questo, ma fatta eccezione solo per Massimo Scarpati, quanti C.T. che hanno diretto la nazionale italiana nella storia possono vantare all’estero tanta credibilità e tanto consenso come Claudio Ripa?

Il cacciatore Ripa
Ma ritorniamo al cacciatore subacqueo che c’è in Claudio.
Sono sempre stato dell’avviso che le qualità straordinarie di un pescatore subacqueo, quando sono veramente tali, non si perdono mai, anche se passano gli anni.

A tal riguardo mi permetto ricordare ai più che la penna sopraffina di Ninì Cafiero, indimenticabile atleta degli anni cinquanta/sessanta e superlativo pubblicista poi, in un articolo comparso su Mondo Sommerso nel dicembre 1973, intitolato I tempi di Claudio Ripa, pagina 114 e seguenti, a proposito dei Mondiali di Cadaqués (dove Claudio Ripa, ritiratosi come già scritto nel 1964, in quella manifestazione era solo nella veste di osservatore per la Cressi; mentre Josè Noguera, con qualche anno di età in più di Claudio, a quel Mondiale arrivò 3°), così scrive:
…“Quest’anno a Cadaqués, quando i Mondiali erano finiti da ventiquattr’ore, Claudio se ne andò a mare con Josè Noguera ed il figlio Pedro. Pinneggiò per un poco su un fondale d’una ventina di metri, massi e tane, spacchi, alghe, canaloni.
Scelse una tana, dall’alto, scrutando il fondo attraverso l’acqua non proprio chiara, e me l’indicò. Andò giù come una spada, ficcò la testa e la punta del Kid nel buco nero e io rimasi a qualche metro inquadrandolo nella Rolleimarin. Dopo un po’ stavo schiattando, ma Claudio era sempre lì, con la testa e il fucile nel buco.
Finalmente sentii il colpo sordo della fucilata, aspettai di vederlo tirar fuori dalla tana la sua preda, ma un secondo prima dovetti scattare, sennò ci sarei rimasto, là sotto.
Rosario Abate, della Cressi Sub, rimasto a guardare la scena un po’ più su delle nostre teste applaudì all’interminabile apnea dello sventurato fotografo e dell’ex campione che s’era dimostrato tutt’altro che ex.
Claudio risalì col suo sarago, tornò giù, ne prese un altro, poi un altro ancora, e un quarto, un quinto, tutti nella stessa tana.
Poi decise di smettere, un sarago a testa sarebbe stato più che sufficiente per la cena della sera.
Io pensai che, in termini di competizione, Claudio aveva fatto 6 o 7 mila punti in un quarto d’ora, molto di più di quanti ne avevano messi insieme parecchi concorrenti al Mundial in due giorni di gara”.

Questo eccezionale racconto di Ninì Cafiero descrive, meglio di tanti concetti e di inutili parole, lo spessore tecnico del grande Claudio Ripa.
Chi come me lo ha visto in acqua pescare a metà degli anni settanta, quando aveva già qualche chilo in più, lo descrive come un autentico “extraterrestre”, per stile, eleganza, fiato e senso venatorio senza pari; un condensato di qualità eccezionali che, in mezzo secolo di pesca, non ho mai riscontrato in nessuno, eccetto lo “Scugnizzo di Mergellina”.
Un giorno fu chiesto a Claudio:… “ma oggi che non gareggi più, in che misura ti senti ancora cacciatore?
Non ti fa orrore (come qualcuno dice che gli capita…) passare dalla macchina fotografica al fucile?”
Con l’onesta intellettuale, la coerenza che lo ha sempre distinto e la schiettezza partenopea che vive ancor oggi in lui, Ripa a questa capziosa domanda, così rispose:
… “Per niente!
Il pescatore che diventa fotografo se per caso torna a pescare ridiventa pescatore come prima, con lo stesso istinto e la stessa grinta, con lo stesso accanimento, che per me non sono assolutamente sinonimo di assassinio o di massacro.
Forse in ognuno di noi si celano un Dr. Jekill ed un Mr. Hyde, ma le cose stanno così. Io sono stato prevalentemente cacciatore subacqueo, oggi sono prevalentemente fotografo subacqueo, ma non rinnego assolutamente nulla di quel che ho fatto in passato.
Ho “campato” prendendo pesce e vendendolo, oggi magari non lo vendo ma lo mangio o lo regalo, ma la sostanza del problema non cambia.
Intendiamoci, sono d’accordissimo sull’istituzione dei parchi naturali subacquei, ma purché la loro istituzione non significhi abolizione della caccia subacquea” (Mondo Sommerso, dicembre 1973, pagina 116 e seguenti, autore Nini Cafiero).
Sono sempre stato dell’avviso che coloro che abbandonano la pesca per la macchina fotografica, od altra attività subacquea, e poi inorridiscono all’idea di dover tornare a sparare ai pesci, è semplicemente perché sono stati, quasi sempre, modesti pescatori.
Infatti costoro cambiavano attività semplicemente perché, il più delle volte, non riscuotevano significativi risultati.
Ritenevano quindi più conveniente cavalcare il pensiero vincente del momento, cioè quella della pseudo ecologia, per avere una migliore visibilità ed essere in linea con le politiche del momento.
Costoro, in tal modo, celavano il proprio fallimento quantomeno di cacciatore.
Diversamente non c’è motivo di inorridire e/o criticare ferocemente la pesca fatta con il fucile, ed aggiungo… magari svolta dagli stessi in passato.
La conclamata saggezza e la proverbiale rettitudine di pensiero di Claudio Ripa stanno proprio nella risposta riportata ut supra.
Per completezza dell’argomento, in ordine alla coerenza ed all’opportunità di certi soggetti, rimando il lettore di turno all’articolo ormai storico (autentica pietra miliare nel settore), comparso su Mondo Sommerso nel dicembre 1977, pagina 143 e seguenti, dal titolo Delitto contro l’Umanità, a firma di Amerigo Santarelli.
Articolo già richiamato in questo blog.
E se chiediamo invece, un po’ maliziosamente, qual è stato l’incarico più difficile della sua vita, Claudio – senza esitazione alcuna – risponde l’essere stato Direttore di Gara al Campionato Italiano per Società alle Tremiti nel 1974, vinto in quell’occasione dal grande Arturo Santoro, e meglio ricordato come … Cose ‘e pazzi ai Campionati di Società, quando – con l’onestà intellettuale di chi non ha nulla da dover mantenere e/o chiedere – mandò a quel paese autorità ed organizzatori con la storica frase: “mi avete rotto i c..”

Testualmente la penna superlativa di Renato Caporilli, su Mondo Sommerso n. 11 del 1974, pagina 67 e seguenti, così scrive: …
…”Nel frattempo, ed erano passate circa due ore dalla fine della gara, ecco giungere, fra la sorpresa generale, i tre del Nettuno Sub Cecina: Calò, Bianchi e Ceccanti, che solo allora erano riusciti a raggiungere terra a remi, dal momento che le barche che dovevano trainarli se li erano “dimenticati” in mezzo al mare.
A questo punto è scoppiata l’ira di Claudio Ripa che, nel più ortodosso dialetto partenopeo, informava il mondo che si era rotto i c…di questa gente, che era ora di finirla di accapigliarsi per un pesce (n.d.r. organizzatori e amministratori locali) e che non stava né in cielo né in terra che si potessero lasciare dei concorrenti in mare, tanto più che alcuni barcaioli erano stati profumatamente pagati proprio per svolgere questo compito”.
Per compiutezza espositiva aggiungo solo che, dopo oltre un’ora dalla storica espressione testé descritta, in piena cerimonia di premiazione, si fecero largo tra la folla altri tre atleti ancora con la muta, grondanti, Portioli, Ansaloni e Curti del Sesto Continente di Reggio Emilia, anch’essi come altri dimenticati per mare dagli organizzatori.
Se in quella manifestazione sportiva non si consumò un’autentica tragedia il merito va dato esclusivamente ad una motovedetta dei Carabinieri che, senza averne avuto specifico mandato, raccolse lungo l’arcipelago diverse barche a remi di atleti “dimenticati” dagli organizzatori.

Risparmio il lettore di turno, ma non sono difficili da immaginare, le espressioni colorite che Claudio riservò a questi pseudo organizzatori al ritorno sulla nave che portava tutti gli atleti a Termoli.
Redde rationem…
Ma vi è ancora un episodio, l’ultimo, in ordine al Mondiale delle Eolie del 1960, che voglio raccontare.
Ho parlato della vittoria di Bruno Hermanny, utilizzando la doppia bilancia e, quindi, la doppia pesata, consegnando in tal modo il titolo precedentemente già assegnato a Claudio.

Ebbene, anni orsono Bruno Hermanny, che non aveva mai dimenticato l’incommensurabile sportività di Ripa, volle rivedere il vecchio amico a cui aveva “scucito” il titolo mondiale; da Rio de Janeiro dove risiedeva, previo accordo nelle vie brevi, si recò a Napoli.
Naturalmente fu ospite di Claudio, i due con le rispettive consorti, si recarono una sera in un noto ristorante della costiera.
A fine cena, dal carattere pantagruelico, Bruno alzò in alto il calice dello spumante e disse, molto serioso, quasi a rincorrere un vecchio ed importante momento della propria vita:
…Brindo oggi al mio amico Claudio Ripa, vero ed unico Campione del Mondo 1960, titolo perso per una signorilità e correttezza mai riscontrata in vita mia!
La cena si concluse con abbracci e sorrisi come si addice a due vecchi e sinceri amici che si sono ritrovati dopo tanti anni.

In verità a Bruno Hermanny, che era medico, era stato già diagnosticato un terribile male e gli rimanevano ormai pochi mesi di vita.
Alla luce di quanto sopra e, purtroppo, condividendone la terribile diagnosi, ritenne doveroso – come autentica e pesante obbligazione naturale – ritornare dal suo rivale/amico e restituirgli moralmente il titolo con quel brindisi, titolo sottratto con lo stratagemma della doppia bilancia.
Dopo il congedo di rito, ritornò in Sudamerica.
Poche settimane dopo si spense serenamente, la sua missione – imposta dalla coscienza di ex atleta – era stata compiuta.
Questa cavalcata, riconosco assai disordinata, raccoglie episodi, considerazioni ed aneddoti del Maestro Claudio Ripa.
Lascio al lettore giudicare se oggi io sia riuscito nell’intento di compendiare il superlativo atleta descritto, nonché il personaggio dalle mille sfaccettature della subacquea italiana.
Nel 2013, in occasione del 80° compleanno di Claudio, Valentina Ripa, la primogenita del nostro Campione con l’aiuto di Roberto, il maschietto di casa, e della mamma Eliana, riuscì ad organizzare una festa particolare in onore del papà: fece pervenire a Claudio, da vecchi amici del mondo, note di autentica e genuina testimonianza di profonda e sincera amicizia.
Mi confermano che la lettura di questi numerosi messaggi, tutti toccanti, commossero Claudio a tal punto che gli spuntarono tanti, ma tanti, lucciconi, e l’album che ne è risultato, cartaceo come ai vecchi tempi, è lì a casa Ripa e viene ogni tanto sfogliato dal campione con immutata emozione…
La presente descrizione, di un autentico fuoriclasse della pesca subacquea, vuole essere il giusto riconoscimento di un grande atleta ma, soprattutto, di un superlativo uomo, corretto oltre ogni dire.
Claudio, a nome di tutti i subacquei, giovani e meno giovani, presenti o che stanno già nuotando da tempo nel Grande Blu, ti ringraziamo per quello che ci hai trasmesso, per gli insegnamenti di rettitudine ed integrità morale senza compromessi, tenendo sempre dritta la schiena, come solo tu hai saputo fare nel tempo.
Tu grande Campione di pesca sub ma, soprattutto, fuoriclasse di savoir faire e correttezza come non siamo più abituati a vederne, sei e resterai per sempre il Mito.
Oggi è il tuo 87° compleanno!
Che il dio Nettuno – visto che non puoi più immergerti nel tuo amato mare – possa regalarti ancora tanta serenità.
Ti abbracciamo forte grande Campione, le tue gesta non saranno mai dimenticate perché ci sarà sempre una penna amica pronta a ricordarli ai più, ove necessario.
Tieni duro mon ami e spegni fiducioso anche questa 87^ candelina.
Siamo in tanti che, gioiosi di questo tuo importante traguardo, oggi battiamo le mani per questa ricorrenza.
Anche Bruno Hermanny, che già da tempo nuota nel Grande Blu, brinda nuovamente con te.
Buon Compleanno nostro autentico eroe.
Gigi Anastasi

P.S.
Per la realizzazione di questo articolo ringrazio sentitamente la moglie Eliana, la figlia Valentina e Massimo Scarpati.
P.P.S.
Un ringraziamento speciale va anche a Pippo Cappellano che ci ha concesso volentieri alcune sue rarissimi scatti, per la pluriennale amicizia che lo lega a Claudio e alla sua famiglia.
3 COMMENTS
Carissimo Gigi , ma che bello non è solo la completezza della storia ma le emozioni che mi hai suscitato. Certo Claudio con la sua vita ti ha dato materiale per parlarne insieme ai sentimenti ed alle emozioni che hai saputo trasmettere con un racconto magistrale.
Grazie caro Gigi per avermi fatto emozionare ed a fine racconto per avermi fatto commuovere. Massimo
Ho lavorato x molti anni con il grande Claudio e gli sono stato molto amico. Io lavoravo con la Tomasoni Topsail e lui aveva la rappresentanza di Henry Lloyd per la Campania. Purtroppo sono molti anni che non lo vedo ma non ho mai perso la stima, il rispetto e la profonda amicizia che ci legava. Tanti auguri CLAUDIO e spero di poterti incontrare ancora
Ho letto con estremo interesse l’articolo, ho conosciuto il grande Claudio che ero solo una bambina, lui passava come rappresentante Cressi nel negozio di mio padre a Cagliari, ho il ricordo di un uomo simpaticissimo oltre che buono e mi da piacere che non venga dimenticata la sua grandezza. Ciao Claudio da una Cortis