
1° Trofeo isola d’Elba (1968) – Gara internazionale di…
Diversamente dalle nostre abitudini è doverosa un’introduzione a questa ulteriore e pregevolissima opera del nostro Gigi Anastasi. I grassetti non sono occasionali, dato che ci teniamo a sottolineare l’originalità e la primigenitura degli articoli del “Nostro”. Purtroppo per una “svista”, qualcuno di voi, avrà già letto, negli scorsi giorni queste righe a seguire, che quantomeno incautamente sono state pubblicate (peraltro nella versione ‘bozza’ ancora non corretta ed integrata) senza l’autorizzazione dell’Autore. E’ quindi per noi fondamentale sottolineare che questo articolo, nasce per la pubblicazione sulle pagine di questo Blog e tutti i diritti sono dell’Autore, Gigi Anastasi. Tanto si doveva per meritoria attribuzione all’autore e per diffida a chi ne facesse utilizzo improprio.
Negli anni che furono, quando cioè un sub suscitava ammirazione e consensi del pubblico, si svolgevano tante gare, con carattere regionale o nazionale, tutte comunque sempre con grande seguito di pubblico. Nel vasto panorama agonistico nazionale di quel tempo oggi voglio ricordarne una, forse sconosciuta ai più giovani, ma sicuramente – a quel tempo – molto rappresentativa, e più segnatamente il 1° Trofeo Isola d’Elba, gara internazionale di pesca sub, che apriva la stagione agonistica italiana. Purtroppo di tali manifestazioni non ne furono disputate molte.
La caratteristica principale di questa gara, che si svolgeva in una sola giornata della durata di sei ore, era l’inusuale collocazione nel calendario agonistico; infatti si disputava l’ultima domenica del mese di marzo (nel caso oggi esaminato domenica 31 marzo 1968).
Palcoscenico della manifestazione era l’isola d’Elba, isola di rara bellezza.
Il campo di gara, forse non sufficientemente esteso alla luce della nutrita partecipazione, abbracciava lo specchio di mare che andava da Bagnaia fino a Capo Vita, un tratto lungo circa 9 chilometri. La competizione era stata ideata da Alberto Baldassare con l’organizzazione del Ci.Ca.Sub. Roma di concerto con l’Ente Valorizzazione Elba.
Va da subito ricordato ai più che la manifestazione in parola si svolgeva in casa del reuccio dell’isola, Carlo Gasparri, campione italiano 1966 e 1967, pluricampione dell’agonismo internazionale ed atleta quasi imbattibile in quel momento storico.

Così come già detto si trattava di una gara di indiscusso prestigio, la cui partecipazione era ad inviti cui avevano diritto gli atleti di prima categoria, i migliori della seconda nonché le rappresentative nazionali di Francia, Monaco ed ex Jugoslavia.
Vincere questa competizione per un atleta significava iniziare al meglio la stagione agonistica.
Fatta questa doverosa premessa passiamo ai dettagli della competizione.
Nei giorni precedenti la gara il clima era stato molto rigido, con forti venti di tramontana, ma la domenica la temperatura era un po’ risalita, il cielo risultava essere sereno, il mare quasi calmo e l’acqua aveva una discreta visibilità, condizioni buone per pescare, ma la temperatura dell’acqua con raggiungeva i 12/13°.
In considerazione dei fondali non particolarmente ricchi di pesce, il peso minimo delle prede veniva stabilito in soli gr. 200.
L’organizzazione, veramente superba, metteva a disposizione una barca per singolo atleta, oltre a quelle per gli ufficiali di gara.
Per la prima volta in una gara di pesca subacquea è presente una troupe della RAI per le riprese subacquee diretta da Andrea Pittirittu, per l’occasione noleggerà un grosso ferry.
I 56 atleti in acqua, agli ordini del Direttore di Gara Claudio Blasi e del Commissario Sportivo Cesare Giacchini, si distribuiscono lungo tutto il campo di gara che misura circa nove chilometri; va doverosamente rimarcato che – già allora – quel tratto di mare risultava essere tra i più poveri dell’isola.
Le profondità di questi fondali sono assai varie, la quota media è intorno ai 12/15 metri. Non sono molte le tane e, visto il numero notevole di partecipanti il campo di gara risulterà insufficiente (molti atleti a fine gara diranno: … eravamo in troppi per la tipologia dei fondali e per la ristrettezza del campo di gara).
I più, visto che la stagione è ancora agli inizi e la forma non è al meglio, si dirigono subito in acqua bassa, alla ricerca di pesce bianco.
Solo i più allenati optano per le batimetrie più impegnative, quelle che vanno cioè dai 12 sino ai 18/20 metri, fra costoro incontriamo Massimo Scarpati, Donato Gerbino, Arturo Santoro e Raffaello Bellani (padre del pluricampione Stefano).
Di Carlo Gasparri, campione d’Italia in carica e perfetto conoscitore dei luoghi in quanto padrone di casa, si dirà meglio in seguito.
I temibili francesi con Hughes Dessault e Marc Valentin (ideatore negli anni a venire del mitico arbalete dal calcio bianco), ottimi pescatori di pesce bianco, non conoscendo i fondali saranno estremamente mobili e pescheranno con i loro lunghi arbalete (fucile – in quel momento storico – ancora poco apprezzato nel nostro paese) a scorrere, cioè a favore di corrente. A fine gara avranno percorso diversi chilometri di mare.

Gli slavi Mikulicic, Milisavleivic e Stamenkovic ed il monegasco Wolmerman per tutte le sei ore non riusciranno a dare una svolta positiva alla gara ed otterranno una classifica assai anonima.
Va subito detto che dopo le prime due ore gli atleti prendono atto che di pesce ne gira veramente poco, e ciò viene rilevato sia nelle batimetrie più modeste che in quelle più impegnative.
Gasparri, smarcandosi con la proverbiale furbizia dai concorrenti che lo pedinavano, si indirizza alla volta di tane profonde a lui ben conosciute, e più precisamente alla ricerca di cernie, ma le troverà tutte desolatamente vuote.
Carlo vuole vincere, non potrebbe sopportare una sconfitta in casa propria, sarebbe uno smacco troppo grave da sopportare. Ebbene, dopo alcune ore inconducenti, cioè di saliscendi continui sul filo dei 15 sino ai 21/22 metri, ritiene più opportuno ripiegare su fondali meno impegnativi alla ricerca di pesce bianco.
Gasparri è nervoso, il suo portapesci è ancora vuoto, sente il peso della responsabilità di gareggiare in casa, intuisce che la gara è maledettamente difficile e chiede notizie degli avversari più temibili, viene subito rassicurato che di pesce, fino a quel momento, ne era uscito poco, Gerbino e Bellani stanno pescano in tana su fondali di circa 10/12 metri, con tuffi continui e reiterati, i due non sono molto distanti fra loro, hanno già qualche pesce bianco a pagliolo, comunque nulla di più.
Stesso discorso vale anche per Scarpati che ben presto si getterà su batimetrie modeste, nella mischia insieme a tanti altri concorrenti, per tentare di catturare in tana saraghi, cefali e spigole.
Tutti i concorrenti, pur dando il massimo, capiscono che la gara è maledettamente complicata, complice forse la temperatura dell’acqua; infatti è il periodo dell’anno in cui è più fredda, non supera i 12/13 gradi.
Ma la dea bendata, reiteratamente invocata da tutti i 56 concorrenti, decide di baciare solo un giovane e promettente atleta romano, Marco Manstretta che, pescando in tana su di un fondale di circa 12 metri, ha la ventura di imbattersi in una tana piena zeppa di cefali, ne prenderà nove tutti sul mezzo chilo, che gli varranno il sesto posto in classifica, prima che i pinnuti – con grande disappunto dell’atleta – decidano di abbandonare in massa il rifugio ritenuto ormai non più sicuro. La delusione del romano è tanta, ma il sesto posto è un risultato più che soddisfacente per il giovane atleta.
E Santoro? Arturo, tra gli atleti più allenati, dopo i primi tuffi impegnativi sulla batimetria dei 20 e più metri, capisce che di pesce non ne gira e decide di cambiare posto, ma non vuole buttarsi in acqua bassa, nella mischia, così come hanno fatto tutti.

Il fuoriclasse delle Tremiti trova una caletta tranquilla dove non vede altri atleti (in verità da quel posto erano già passati in tanti e tutti si erano allontanati ben presto perché quella morfologia di fondale era stata considerata un autentico “deserto”). Trattasi di una franata di grosse pietre che da pochi metri d’acqua muore fino ai venti, poggiandosi sulla sabbia: è qui che ha inizio il capolavoro del fuoriclasse della Cressi.
Arturo, pescatore di tana sopraffino, fiuta che il pesce invece c’è e, udite udite, che la franata potrebbe ospitare anche cernie e corvine.
Inizia così a fare l’ascensore per più di quattro ore, ispezionando masso dopo masso, non disdegnando di infilarsi con tutto il corpo in ogni cunicolo, alla ricerca dei serranidi e di pesce bianco.
Ma allontaniamoci per un attimo da Santoro e ritorniamo da Gasparri. Carlo lo abbiamo lasciato su fondali più modesti, e sta ispezionando, tuffo dopo tuffo, tutte le tane da lui conosciute, e sono tantissime, con spostamenti in barca continui e reiterati, il suo carniere di pesci bianchi sta crescendo, alla fine sarà composto da dodici pezzi, per un totale di 9.560 punti.
Gasparri però è nervoso, capisce che il suo carniere non potrebbe essere sufficiente a vincere, però viene tranquillizzato che fino a quel momento di pinnuti non ne sono usciti tanti. L’elbano, rasserenato che i più agguerriti avversari non hanno più pesce di lui, chiede specificatamente di Arturo Santoro in quanto fino a quel momento non ne aveva avuto notizie.
Gli riferiscono che il portacolori della Cressi sta pescando in una caletta posta poco prima di Capo Vita. Gasparri – individuato il punto – tira fuori un sospiro: “Santoro in quel posto non prenderà nulla, è una franata che da anni non fa pesci, adesso mi sento più sereno”, dirà Gasparri, “forse c’è la faccio a vincere…”.
Gasparri commette però un imperdonabile errore: sottovaluta la classe sopraffina e lo straordinario fiuto del pesce che il longilineo pugliese possiede.
Questi, intuendo invece che la franata, snobbata precedentemente da molti/troppi atleti anche titolati, era invece molto valida, continua nella ricerca del pesce in tana, buco per buco, senza tralasciare mai neppure la più modesta fessura. Ben presto individua in tana, ad una profondità di circa 15 metri, una cernia di sei chili che cattura dopo pochi tuffi con il suo micidiale Mach 0,9.
Oltre al citato serranide “sente” il rumore tipico delle corvine e, sempre nel dedalo dei buchi più profondi della franata, ne cattura una decina, una dopo l’altra. Il suo ritmo è semplicemente impressionante.
La sua ricerca, grazie anche ad apnee di oltre due minuti, è minuziosissima, ispeziona ogni masso, da due metri d’acqua sino ai venti. Tanta caparbietà, unita ad una classe straordinaria, lo porterà alla fine ad intuire una seconda tana vincente in soli tre metri d’acqua (a fine gara dirà che questa cernia l’ho fiutata, non l’ho vista).
E’ una tana a gomito che sale fino a quasi la superficie. Arturo la ispeziona infilandosi tutto dentro e, per farlo al meglio, sarà costretto a togliersi le pinne. L’ingresso, estremamente tortuoso, conduce ad un cunicolo lungo non meno di quattro metri, ed alla fine è cieco, lì si è rifugiato il bestione di 13 chili. Arturo, dopo diversi tuffi, sarà in grado di mettere a pagliolo anche questa grossa preda che, neanche a dirlo, risulterà il pesce più grosso.
Per dovere di cronaca va precisato che anche senza questo grosso serranide avrebbe abbondantemente vinto, così come la classifica evidenzia, il suo punteggio sarà più del doppio rispetto al secondo classificato.
Nelle more arriva alle orecchie della troupe della RAI che Santoro ha tanto pesce e che sta lavorando ad una grossa cernia. Senza indugio gli operatori subacquei riprendono Arturo alle prese con la cernia più grossa, filmando anche la scena delle pinne che ogni volta sarà costretto a sfilarsi sott’acqua per meglio entrare nel cunicolo.
Ebbene, pochi sanno che, al momento di montare queste immagini, i dirigenti RAI hanno ritenuto opportuno “censurarle” in quanto scene molto pericolose, e ciò in virtù dello spirito di emulazione che qualche sub avrebbe potuto avere.
A fine gara, rientrando nel porticciolo, tutti gli atleti – stremati ed infreddoliti – vengono rifocillati da un brodo vegetale caldissimo posto in un enorme pentolone, proprio come si faceva a Lussino in occasione della Coppa delle Città.

I carnieri – così come si era temuto durante la gara – sono oggettivamente poveri, composti prevalentemente da pesce bianco dalla taglia mignon.
Tra le prede più ammirate abbiamo la spigola di due chili e mezzo di Augusto Pace, un’orata di due chili di Gasparri ed un grappolo di spigolette di Giorgio Leonardi, oltre ai già descritti cefali di Marco Manstretta.
Ottime le pescate di Gerbino secondo con quattordici pezzi (con due gattucci presi a fine gara) e di Bellani terzo con gli stessi pesci del secondo ma appena più piccoli. Buona anche la prestazione del francese Dessault quinto, poterà a peso 15 prede (maggior numero di prede della giornata).
Molto attardato è invece Scarpati (8°).
Tra i giovani più promettenti troviamo Simonini, Nigro, Bonanni, Moretti, Donati e Marchese Mario che di lì a poco perderemo in un incidente stradale.
Carniere a sé, o meglio gara a sé, ha fatto Arturo Santoro, il suo portapesci, alla luce anche della povertà di pescato della giornata, mozza il fiato a tutti.
Il fuoriclasse tremitense stravince con dodici prede valide con un peso di Kg. 24,510 contro i Kg. 9,490 del secondo, ottenendo 26.910 punti.

Orbene, se oggi dopo oltre mezzo secolo chiediamo a Carlo Gasparri quale sia stata la sua peggior sconfitta agonistica, senza esitazione alcuna, l’elbano risponderà il 4° posto del 1° Trofeo Isola d’Elba del 1968 dietro l’extra terrestre Arturo Santoro!
A tal riguardo voglio raccontare un aneddoto realmente accaduto.
Siamo alla fine degli anni settanta a Napoli, riunione dei migliori sub partenopei, presenti – oltre a veterani Claudio Ripa, Massimo Scarpati ed Antonio Ciniglio – tanti giovani di sicuro avvenire agonistico.
Uno di questi, capziosamente, chiede pubblicamente a Massimo quale sia stato nella sua carriera agonistica l’atleta che più temeva in gara. Tutti i presenti davano per scontata una sola risposta: Carlo Gasparri.
Massimo, senza alcuna esitazione, risponde: “Arturo Santoro, perché Arturo – quando è concentrato – è semplicemente imbattibile, è l’atleta più forte al mondo”.
Il campione napoletano non poteva dire meglio, la sua fotografia era semplicemente perfetta.
Gli è che Arturo Santoro era il profondista per antonomasia, il tanista più forte del mediterraneo.
Allo stesso, però, così come ha ben detto Scarpati, è mancata qualche volta la giusta concentrazione, e nella sua lunga carriera agonistica non sempre si è circondato di interlocutori degni della sua classe. E questo è stato un gran peccato.
Arturo Santoro, campione dalla classe cristallina, va ricordato esclusivamente come un autentico fuoriclasse, un fuoriclasse a cui tutti noi dobbiamo portare il dovuto ossequio. Altri ricordi risultano oggettivamente sterili ed inconducenti.
Gigi Anastasi
Fonte: Mondo Sommerso n. 5 del maggio 1968 di Franco Capodarte
2 COMMENTS
Fantastica cronaca di una gara che ricordo bene. Confermo in pieno il mio giudizio su Arturo Santoro che insieme a Gasparri erano gli atleti più forti ma Arturo , in quegli anni, dotato di un fisico strabiliante era l’atleta che più temevo ed a mio avviso anche a livello mondiale.
Articolo molto bello! Sarebbe interessante, visto che partecipò all’evento una troupe della RAI TV, poter condividere il filmato di quel 1° Trofeo Isola d’Elba targato Arturo Santoro.
Un caro saluto. Tito Bianchi